Dobbiamo risposte a 3,5 milioni di lavoratori poveri

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01/07/2023

L’intervista a Repubblica di Carlo Calenda 

“Ho scritto poco fa a Giorgia Meloni”, annuncia Carlo Calenda. “Le ho mandato la proposta sul salario minimo, con un po’ di benchmark internazionali e le ho chiesto di ricevere l’opposizione senza pregiudizi per parlarne. Lei sa che noi di Azione non siamo ideologici, che si può ragionare nel merito, come abbiamo già fatto tante volte su altri provvedimenti”.


E ha risposto?
“Ancora no. Ma spero lo faccia. Le avevo anche chiesto di deviare i fondi del Pnrr che non sappiamo spendere sull’industria 4.0, allargato a energia e ambiente. Abbiamo già trovato le coperture. In linea di principio sarebbe d’accordo, ma purtroppo in Italia poi non succede niente”.


Però almeno le opposizioni, sul salario, si sono compattate.
“Giusto così. Siamo l’unico Paese del G7 che non ce l’ha. Abbiamo 3,5 milioni di persone in povertà lavorativa, soprattutto giovani e donne. L’inflazione colpisce di più i poveri e dipende in parte dai margini di profitto delle aziende. Dunque c’è spazio per le imprese per pagare di più i lavoratori. Dobbiamo risposte a chi oggi ha contratti nazionali, che in parte sono finti contratti, perché non firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi. Tutta l’Europa si sta interrogando su questo tema: Macron ha alzato il salario minimo a 11,5 euro, la Germania a 12. In Italia io dico: se non ora quando? La proposta finale è buona, non ha l’indicizzazione dei salari all’inflazione, prevede 12 mesi di tempo per aggiornare i contratti nazionali, spazza via solo quelli pirata, come quelli delle false coop”.

La ministra Calderone però ieri diceva: non si fa per legge.
“Do un’informazione alla ministra: non c’è altro modo, se non per legge. Altrimenti non si chiamerebbe salario minimo legale. Con le parti libere di contrattare, ma senza andare sotto una cifra che garantisca la dignità del lavoratore. Spero che si possa aprire un dialogo con la maggioranza”.


E l’opposizione su che altro può unirsi? Sulla sanità pubblica?
“Si, purché non sia uno slogan, “difendiamo la sanità”, ma entrando nel merito. Sul salario per esempio ho chiamato Elly qualche tempo fa e le ho detto: noi una proposta ce l’abbiamo, parliamone. Poi abbiamo lavorato molto bene con Cecilia Guerra. Sulla sanità noi abbiamo fatto una proposta per azzerare le liste d’attesa in un anno e altre riforme più strutturali. Le ho inoltrate a Schlein. Il punto è se c’è voglia di discutere sul come: il problema principale è la carenza di medici e infermieri. E credo sia stato delittuoso che Meloni non abbia preso il Mes sanitario”.

Sul salario minimo c’è la prima firma di Conte, problemi?
“Ma mica siamo all’asilo. Lo può firmare chi vuole, che si chiami Giovanni o Paolo. Nel dibattito pubblico finiamo sempre a parlare di nomi, come la ministra Roccella addirittura per quelli dei gatti. Mentre tre pilastri come lavoro dignitoso, sanità e istruzione stanno andando a farsi benedire”.


Lei dice: il campo largo comunque non esiste.
“L’unico campo largo è stato il Conte 2, un disastro sesquipedale. Io non ne ho fatto parte e non intendo farne parte in futuro. Il nostro obiettivo è far capire agli italiani che destra e sinistra non fanno altro che alzare i toni senza combinare nulla. Noi siamo repubblicani, nel senso del ritrovarsi nello spirito repubblicano della prima parte della Costituzione di cui parlava Draghi. Conte poi è tagliato fuori dal panorama istituzionale europeo, per la posizione sull’Ucraina sua e di Grillo sulla Cina. Non se lo prendono nemmeno i Verdi. Lavoriamo sui temi”.


Renzi è l’unico, all’opposizione, a non avere firmato il testo…
“Non lo firma ma lo vota, la differenza l’ha capita solo lui”.


È vero, come ha raccontato Bonelli, che lei e Conte non avete voluto una conferenza stampa sul salario con foto di gruppo fra leader?
“Bonelli non l’ho mai visto neanche al tavolo. Noi abbiamo deciso di presentare la proposta a livello parlamentare, proprio perché non siamo una coalizione politica”.


Off topic, sul governo: Santanché si dovrebbe dimettere se rinviata a giudizio?
“Si deve dimettere se non è in grado di dare spiegazioni su quello che è accaduto. Il rinvio a giudizio non ha valenza penale. Diversa invece è la carenza dell’etica pubblica: se c’è ed è grave deve dimettersi”.

(Intervista a cura di L. De Cicco disponibile qui)