Liquidare Mario Draghi è autolesionismo
L’intervista di Mara Carfagna a Repubblica
«Esprimere un giudizio così liquidatorio su Mario Draghi, dipingerlo come uno che si metteva in fila per una foto con Macron e Scholz, non è solo ingeneroso: è un atto di autolesionismo che va contro l’interesse nazionale». Mara Carfagna è allibita per le parole sprezzanti pronunciate da Giorgia Meloni contro l’ex premier, di cui fu ministra per il Sud. «Non è da patrioti denigrare l’uomo che ha salvato il Paese in una delle fasi più difficili della sua storia», attacca la presidente di Azione.
È offesa onorevole, perché?
«Mi offende la mancanza di memoria. Oltre a essere considerato l’italiano più autorevole nel mondo, Draghi ha guidato un governo di salvezza nazionale in un periodo di grave emergenza: faticavamo a uscire dalla pandemia e in pochi mesi ha avviato la campagna vaccinale, riscritto un Pnrr destinato alla bocciatura, garantito ristori e sostegni a famiglie e imprese piegate dal Covid, schierato l’Italia con l’Ucraina, lavorato per l’indipendenza energetica. Perciò ritengo che sporcare questa stagione sia un atto contrario all’interesse nazionale».
Poi però Meloni si è corretta, ha detto che ce l’aveva col Pd.
«Non so se è peggio il buco o la pezza. Fra l’altro, parlando della foto sul treno per Kiev, ha proprio sbagliato bersaglio perché quell’immagine rappresenta il simbolo dell’unità e della solidarietà europea, capitanata dall’Italia, in difesa di una nazione brutalmente invasa. Testimonia non una scampagnata tra amici, ma l’Ue che si muove per tutelare il diritto di uno Stato sovrano a vivere in pace. E mi fa specie che una premier che si definisce “patriota” sbeffeggi quel momento, anziché andarne fiera».
Lei ha capito la ragione di tanta insofferenza verso il predecessore?
«C’è chi attribuisce questa caduta di stile al timore che un eventuale ruolo di Draghi in Europa possa oscurare l’azione del governo. Ma un’Italia che vuol pesare dovrebbe puntare sul meglio che ha. Temo invece che ci ritroveremo a contrattare posizioni minori per sistemare qualche esponente della maggioranza».
Pur di avere Fitto commissario europeo, Meloni stopperebbe Draghi a capo della Commissione?
«Si parla anche di altri ministri, non solo di Fitto. Ripeto, per contare l’Italia deve giocare le sue carte migliori: non farsele suggerire dalla Francia o dalla Germania, ma imporle a Francia e Germania».
Se Draghi venisse proposto da Macron e Meloni dicesse no, non faremmo ridere il mondo?
«Nessuno capirebbe. Con due guerre alle porte, una crisi climatica sempre più grave, il rincaro delle materie prime, per non parlare di quello che potrà accadere negli Usa, c’è bisogno di un’Europa forte. Di visione e strategia: se c’è un italiano che può esprimere tutto questo, perché privarsene?».
Intanto sul Mes è ancora rinvio.
«Tanto si sa già come andrà a finire. Dopo averlo demonizzato per anni, il governo lo ratificherà, rimangiandosi tutto. Non è la prima volta: è successo col blocco navale, la tassa sugli extraprofitti delle banche, il taglio delle accise, le trivelle. Il rinvio serve solo a mascherare la difficoltà di dire: abbiamo promesso cose impossibili, che suonavano bene in campagna elettorale, ma non sono realizzabili una volta al governo».
E sul Patto di stabilità? Meloni minaccia il veto, gioca col fuoco?
«Mi auguro di no per l’Italia. Tornare alle vecchie regole significherebbe non avere spazio per investimenti e stimoli a crescita e produttività. Sarebbe un clamoroso autogol».
Il premierato le piace?
«L’hanno definita la madre di tutte le riforme, per noi è la madre di tutte le illusioni. Perché non è vero, come dicono, che aumenta il potere del popolo, semmai il popolo conterà meno perché riduce il Parlamento a vassallo di un premier eletto da una minoranza. Se la riforma fosse già entrata in vigore, Giorgia Meloni con 7 milioni di voti su un corpo elettorale di 51 milioni di cittadini avrebbe conquistato la maggioranza assoluta dei seggi in virtù di un premio al 55%. Una vera follia».
Dopo l’addio a Renzi, come agguanterete il 4% per le Europee?
«Con la forza e la linearità delle nostre proposte. Le alleanze non si fanno per superare le soglie di sbarramento, ma per comunanza di idee e valori. Se vengono meno, non ci può essere alleanza. Perciò escludo ripensamenti: gli elettori sarebbero i primi a non capire».
(Intervista a cura di G. Vitale disponibile qui)