I processi si fanno in tribunale, non sui giornali

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15/02/2024

L’intervista di Enrico Costa a La Stampa

Passa per essere il campione del garantismo in Italia, l'onorevole Enrico Costa, di Azione. Suo l'emendamento che vieta la pubblicazione integrale di un mandato di arresto. E c'è il suo zampino anche in diversi passaggi della riforma che porta la firma di Carlo Nordio. Infatti sia Azione che Italia Viva hanno votato a favore della riforma.

«Con il mio emendamento si torna al 2017».

Costa, ha scatenato la sollevazione dei giornalisti con la sua norma-bavaglio. Era così necessaria?

«Era una norma prevista dal codice Vassalli del 1988. C'era già all'epoca la necessità di evitare i processi mediatici. Con l'avvento del processo accusatorio, che esalta il dibattimento, era stato valutato che il giudice non deve essere influenzato in alcun modo. Perciò non deve conoscere anticipatamente gli atti, tantomeno attraverso i mezzi di informazione».

Le cose sono andate diversamente.

«Già, è prevalso il processo mediatico. E ora siamo al processo via social. Ma è un bene? Le intercettazioni, che sono un vulnus alla privacy della persona, si fanno per scopi di giustizia oppure per far vendere i giornali? Il processo va fatto in un'aula di tribunale, non sulla Rete, o in tv, o sui giornali. Anche perché l'attenzione è orientata spasmodicamente alle prime fasi del procedimento, quando arrivano le carte dell'accusa, e la difesa nemmeno è scesa in campo. Ora, è chiaro che se l'opinione pubblica viene informata sempre a senso unico, e la colpevolezza ogni volta sembra schiacciante, il discorso è già finito. Lạ persona è condannata. L'opinione pubblica viene formata in senso colpevolista. Nessuno ha la pazienza, tantomeno i giornalisti, di sentire che cosa si dice poi nel processo. Chi ascolta i periti, le testimonianze, le arringhe? Figuriamoci. E infatti, quando un processo termina con le assoluzioni, allora la gente si stupisce e s'indigna: ma come, avete assolto uno che era così colpevole?».

Così volete mettere la sordina alla cronaca giudiziaria?

«Quando si liberalizzò la pubblicazione, ai tempi di Andrea Orlando, che ne ha parlato ieri su questo giornale, io ero contrario. Tanto è vero che votai, da ministro per gli Affari regionali, contro un provvedimento del governo. Dopo poco, diedi le dimissioni per dissenso dal governo Gentiloni».

Un suo assillo.

«Con l'emendamento che impedisce la pubblicazione integrale o per estratto di un mandato di arresto, penso che sia il completamento di un percorso avviato nella scorsa legislatura. Il diritto all'oblio per chi è assolto. Le spese pagate dallo Stato se si è assolti. Sempre con un mio emendamento, si è recepita la direttiva  europea sulla presunzione di innocenza; e di nuovo c'entrano le forme di comunicazione da parte delle procure durante le fasi iniziali del procedimento. Comunicati stampa uguali per tutti. Conferenze stampa in pochi casi necessari. Niente nomignoli suggestivi alle indagini. Si dev'essere molto cauti nella comunicazione delle accuse perché sono un qualcosa ancora non verificato in tribunale. Dobbiamo trovare un bilanciamento tra il diritto di informare e di essere informati, e la presunzione di innocenza, perché chi viene investito da centinaia di pagine di accuse, se pubblicate, non si riprende più. Neanche con l'assoluzione. Neanche con il proscioglimento».

Perché va bene una sintesi giornalistica ma non la pubblicazione integrale o per estratti?

«Diciamo che spesso le ordinanze sono scritte in maniera maliziosa, perché si sa che finiscono sui giornali e una certa intercettazione ad effetto aiuta ad alzare l'attenzione».

Con la riforma Nordio le ordinanze di custodia cautelare verranno decise da tre giudici e non più da un solo gip. Cambierà qualcosa?

«Un giudice collegiale sicuramente garantisce di più rispetto a un giudice singolo. Ci vuole ponderazione per un atto dal forte impatto come privare una persona della libertà personale. Di fronte alla forza che hanno certi pubblici ministeri, un giudice collegiale è una maggiore garanzia. Non dimentico quel giudice che a Milano si è permesso di negare il carcere ad una serie di persone ed è stato subissato di critiche».

(Intervista a cura di F. Grignetti)