Un bel segnale tutti insieme per Navalny

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19/02/2024

L’intervista di Carlo Calenda a Quotidiano Nazionale

Senatore Carlo Calenda, come leader di Azione è soddisfatto d'esser riuscito nell'impresa di unire per una volta maggioranza e opposizione nel nome del dissidente russo Alexej Navalny, morto da recluso in Siberia?

«Nelle altre città europee sono già state fiaccolate spontanee. Non è cosa da niente che l'ultimo dei dissidenti russi venga ammazzato da Putin. Qui in Italia non è successo niente, perciò ci è sembrato giusto proporre una fiaccolata. Mi pare rilevante che, forse per la prima volta nella storia della Repubblica, si tratti di una manifestazione che rappresenta l'intero arco parlamentare, tutti i partiti e tutti i sindacati».

Senza sconti alla ferocia di Pu tin, non sarebbe salubre distinguere il giudizio politico dalle sentenze di colpa, dato il fresco voto sul ddl Nordio e le relative attestazioni sulla presunzione d'innocenza?

«Navalny è stato detenuto per ragioni politiche oltre il circolo polare artico. Che sia morto al gelo o altrimenti, stiamo parlando di un omicidio di fatto. Il Presidente Mattarella l'ha detto con grande chiarezza: se muore un detenuto sotto la tua custodia sei responsabile. Punto. A questo si aggiunge lo scempio di negare alla madre la possibilità di vedere il corpo. Per chi conosce la storia russa, c'è una violenza che rimanda ai tempi degli zar e dello stalinismo».

Si può dire che la dimensione messianica dell'autocrazia russa risale a ben prima di Putin e dell'epoca sovietica?

«Direi che da Ivan il Terribile in poi ci sono elementi costanti. L'imperialismo verso l'Europa e uno stato di brutalità e violenza proprio dell'organizzazione sociale e politica russa, con cui ci troviamo ancora oggi a misurarci».

Pensa che la Russia di Putin abbia mire di conquista sull'Europa orientale, come ipotizzano alcuni?

«Putin mira all'ex impero sovietico. Non è un'ipotesi: ha dichiarato lui stesso l'intenzione di riappropriarsi del territorio venuto a mancare dopo la frammentazione post-gorbacioviana. Sappiamo da report tedeschi e Nato che l'Estonia è nel mirino. Tanto che Putin ha inserito la premier estone Kaja Kallas tra i most wanted».

Con un decimo della spesa militare Usa, Putin potrebbe davvero attaccare un paese Nato?

«Quando ha preso la Crimea abbiamo pensato che si sarebbe fermato lì. Abbiamo fatto sanzioni ridicole e continuato a comprare energia, sperando che bastasse. Ma, come succede con tutti i dittatori, non averlo fermato subito ha portato all'invasione dell'Ucraina».

A due anni dall'invasione, non sarebbe ora di un'iniziativa per fermare la guerra?

«L'autodeterminazione dei popoli è un principio della civiltà europea. La libertà è una naturale aspirazione delle nazioni e il popolo ucraino non mette in dubbio di continuare a lottare comunque. In ciò vanno sostenuti per loro e per noi. Non possiamo trattare noi sulla pelle degli ucraini, né pensare che disarmandoli si otterrebbe qualcosa di diverso dalla resa ai russi. Se tollereremo la violazione della sovranità nazionale sulla base dell'esistenza di minoranze linguistiche torneremo all'Europa dei conflitti nazionali del XIX e XX secolo».

E l'Europa cosa può fare per non stare a guardare?

«Costruire un esercito comune che dissuada l'imperialismo di Putin. Perlomeno coordinare le forze armate: avere una forza di reazione rapida e uno scudo anti missile. Non è stata l'Unione a frenare finora, ma i singoli paesi. Adesso, che siamo sotto la pressione, o ci decidiamo a una difesa comune oppure l'Europa va in bezzi. E se accade i primi a saltare siamo noi, perché il nostro debito non regge un minuto senza l'Europa».

Il 24 febbraio Europa rilancia la piattaforma per una lista comune europeista delle forze liberali. Lei ci sarà?

«lo parteciperò in collegamento da Kiev. Quello che non faremo è una lista unica con Italia Viva».

E con +Europa?

«Noi siamo apertissimi. Non ho capito cosa vogliano fare loro. Mi pare che sia un oggetto di discussione interna. Per parte nostra siamo sereni e confortati dai sondaggi che ci danno sopra il 4%».

Oltre a Navalny, perché non mobilitare la politica anche sulla strage perpetua sul lavoro?

«Su questo io ripeto da sempre che non servono nuove leggi o slogan, ma ispettori del lavoro. Ogni volta che c'è un fatto di di cronaca chiediamo una legge.

Ma il problema è che mancano i controlli. Giorni fa ero nella provincia di Reggio Emilia, dove ci sono 150 mila imprese e 61 ispettori del lavoro. Se vogliamo dare una risposta, assumiamo 5 mila ispettori del lavoro».

(Intervista a cura di C. Rossi)