Nella lettera ai tedeschi pubblicata recentemente su iniziativa di Carlo Calenda sul Frankfurter Allgemeine Zeitung, il leader di Azione e alcuni amministratori locali come Sala, Toti, Gori, Bonaccini, Brugnaro, hanno invitato la Germania ad abbandonare la linea anti-Eurobond dei paesi del Nord - e in particolare dell’Olanda - per adottare un approccio più altruista e solidale alla crisi causata dal Covid19, ricordando come, nel 1953, molti Paesi accettarono sostanzialmente di dimezzare il debito tedesco accumulato nelle due guerre.
Soprattutto nell’area liberale ed europeista di cui faccio parte, la lettera ha suscitato varie discussioni. Alcuni hanno criticato l’argomento legato al dimezzamento dei debiti di guerra, perché "così si aiutano i sovranisti", che da sempre criticano Europa e Merkel/Germania come se fossero la stessa cosa. Altri, come il prof. Bini Smaghi hanno attaccato la lettera sostenendo che si tratta di due situazioni storicamente molto diverse.
Partendo da quest’ultima considerazione, le situazioni storiche sono effettivamente molto diverse: i Paesi che oggi chiedono solidarietà europea lo fanno per poter affrontare i costi, potenzialmente drammatici, di un’epidemia della quale non hanno nessuna colpa. Non, come la Germania nel 1953, con riguardo a un debito relativo a due guerre mondiali che aveva scatenato.
Sotto il profilo "etico", quindi, la solidarietà è sicuramente più giustificabile oggi di allora, anche di fronte all’opinione pubblica. Se all’epoca i leader occidentali avessero fatto un sondaggio tra i rispettivi elettori, difficilmente avrebbero trovato molta comprensione verso la Germania. Eppure, giustamente, scelsero la via della solidarietà, non solo per aiutare il popolo tedesco, ma anche per ragioni politiche: assicurare la sopravvivenza economica della Germania era un modo per evitare la diffusione del comunismo.
Oggi, esattamente come allora, la solidarietà non è solo un dovere morale: intervenire senza imporre sacrifici "lacrime e sangue" conviene alla Germania e agli altri Paesi Europei, per il semplice fatto che, se si sceglierà una via rigorista, i nostri sovranisti vinceranno le elezioni a mani basse. E a quel punto l’Italia uscirà quasi certamente dall’Euro, ponendo di fatto fine al sogno europeo, con il rischio di consegnare il nostro Paese all’influenza cinese.
Proprio per questo, per noi europeisti, è giusto, anzi doveroso, criticare duramente non "l’Europa", ma l’egoismo dei Paesi rigoristi, perché l’atteggiamento di Rutte e della Germania va in senso opposto ai principi di solidarietà e unione tra i popoli che stanno alla base del progetto europeo. Molti, invece, nelle nostre file hanno una sorta di riflesso condizionato: a furia di criticare, giustamente, i difetti del nostro Paese, a partire dalla gestione irresponsabile della finanza pubblica, finiscono per vergognarsi di denunciare quelli degli altri, se fanno parte di quelli che siamo abituati a considerare i "buoni".
Una sorta di provincialismo filo-europeo e anti-italiano, diffuso anche tra i nostri funzionari europei, che ha fatto danni enormi all’Italia all’interno delle istituzioni europee. È un atteggiamento dannoso per l’Italia e per il progetto europeo. Se siamo per una vera Europa federale, solidale e forte, oggi non possiamo essere comprensivi con l’Olanda. Perché Rutte con Altiero Spinelli non ha proprio niente a che vedere.