Democrazie, trasparenza e partecipazione. Solo così nasce una classe politica
Intervista di Matteo Richetti a Il Dubbio
"La vicenda lombarda presenta senz’altro elementi di ambiguità. Se fossi in Fontana mi sarei già dimesso. Non perché sia obbligato, ma per il mio personalissimo modo di intendere la presenza nelle istituzioni”. Il nostro colloquio con Matteo Richetti, ex rottamatore oggi senatore di Azione, prende le mosse dalla cronaca politico-giudiziaria. “Quando sei chiamato a spiegare fatti di quella natura lo fai liberando le istituzioni da ogni tipo di imbarazzo, Dopo di che, Fontana è persona innocente fino a prova contraria”, aggiunge.
Senatore, lei qualche anno fa presentò un progetto di riforma dei partiti poi arenato. Ora indipendentemente dalla vicenda lombarda, crede che la politica abbia qualche problema con la selezione della classe dirigente?
Non si possono fare generalizzazioni. Il tema della trasparenza dei partiti, il cuore della mia proposta di legge, riguardava la garanzia per i cittadini di votare forza politiche che funzionano in maniera democratica. Io, tesserato a un partito, devo poter essere sicuro che la mia partecipazione possa incidere sulle scelte della mia organizzazione. Se invece mi iscrivo a una forza in cui non esistono gli organismi, né un sistema di rappresentanza o di delega, significa che c’è un problema enorme. Chiaro, poi serve una legge elettorale che ti consente di scegliere i più bravi e non i più fedeli, ma prima deve esserci un sistema che ti consente di dire la tua.
Un partito non può decidere autonomamente come strutturarsi? Sta agli elettori decidere.
I partiti hanno diritto a essere totalmente autonomi. Ma l’autonomia non può prescindere dalla partecipazione vera degli iscritti. Vale per chi vota su Rousseau senza alcuna certificazione reale e vale per chi fa le primarie senza un coinvolgimento vero. Le procedure fanno la democrazia.
Manca democrazia nei partiti?
Diciamo che ci sono ancora tanti passi in avanti da fare. Uno dei motivi per cui la mia legge non fu approvata erano i paletti sulla trasparenza su cui avevo puntato. Trasparenza che avrebbe dovuto riguardare le persone economiche, sia quelle private che quelle pubbliche derivanti dal due per mille, una sorta di finanziamento sopravvissuto nel tempo.
Chi ostacolò la sua riforma?
All’epoca la resistenza più forte proveniva dal Movimento 5 Stelle perché non voleva essere equiparato a un partito.
Cosa significa avere un partito trasparente?
Significa avere la certezza che le scelte dentro le istituzioni non rispondono a un interesse particolare, come quello di un eventuale finanziatore, ma a un interesse generale. Quando sento dire a tanti colleghi, compresi quelli del PD o Italia Viva, che è legittimo non rendere pubblici i nomi di alcuni sostenitori mi chiedo perché. Cosa impedirebbe a un cittadino o a un’impresa di dichiarare pubblicamente il proprio sostegno a un partito, immaginando, ovviamente che lo sostenga per convinzione? Ecco, io avevo provato a scardinare questa logica per dare. Ai cittadini la certezza che qualsiasi finanziamento fosse alla luce del sole, impedendo eventuali dinamiche di scambio.
Non le sembra logica conseguenza dell’abolizione del finanziamento pubblico che un privato possa decidere di sostenere un partito per averne in cambio qualcosa?
Nella mia esperienza ho visto tantissime imprese e tantissimi cittadini decidere di sostenere una forza politica perché preoccupate per lo stato complessivo del Paese. C’è lo strumento del sostegno economico. Senza dimenticarci che i partiti continuano a percepire milioni di euro attraverso il due per mille con forme di rendicontazione così generiche da non consentire a nessuno di avere elementi di dettaglio su come queste risorse vengano impiegate.
Parlando di attività lecite, cosa cambia se so che quei soldi vengono spesi per stampare manifesti o pagare un dipendente?
Ma scherziamo? È un problema di trasparenza che riguarda anche il mondo dei “servizi” legato ai partiti. Faccio un esempio: quante persone provenienti dalla Casaleggio associati sono dentro le istituzioni? Intendo nei gruppi parlamentari, a Palazzo Chigi o nelle strutture dei ministeri. Credo che tutto questo debba essere almeno portato a conoscenza dei cittadini. Non intendo impedire nulla a nessuno, semplicemente credo di avere il diritto di sapere se ci sono flussi di denaro tra un partito e una società privata, che detiene la piattaforma attraverso la quale quello stesso partito sceglie i nomi dei futuri eletti, che poi condizioneranno i governi, che a loro volta potranno dare incarichi alla stessa società. Solo io vedo un potenziale corto circuito in questa situazione?
Non vorrà dire che questo rischio riguardi solo il Movimento 5 Stelle?
Assolutamente no. Anzi, sono abbastanza convinto il PD abbia anche valutato gli spazi assicurati alle forze di maggioranza prima di accettare di entrare nel nuovo governo. E quando parlo di spazi intendo anche quelli riservati al ceto politico o al personale di partito. E se, come il PD, hai 140 dipendenti in cassa integrazione, l’idea di poter ricollocare queste persone diventa un elemento di valutazione importante. Ma è giusto che la politica viva anche di queste logiche? Si risponde così al mandato dei cittadini?
Forse per liberarci da queste logiche sarebbe necessario restituire il finanziamento pubblico?
No. Anzi, se ci sono strutture sovradimensionate è proprio perché col finanziamento pubblico non si guardava alle esigenze reali ma alla possibilità di ampliare le assunzioni. I partiti moderni non vivono più di sedi e funzionariato, non sono necessari- Vorrei inoltre ricordare che nonostante il finanziamento pubblico c’è stata Tangentopoli.
Niente mette al riparo da possibili episodi corruttivi. I partiti devono fare i conti con una nuova questione morale?
Il problema non è moralizzare i partiti ma avere procedimenti di indagine veloci, rapidi e mirati. Non ha senso indagare random tutti i consigli regionali d’Italia per portare a casa 15 condanne su centinaia di persone coinvolte. Io non generalizzerei sulla classe politica, la responsabilità penale, quando c’è, è sempre personale. Abituiamoci a commentare gli esiti delle indagini, non l’inizio. Invece di dividerci tra forcaioli e garantisti a oltranza, ragioniamo in maniera seria sulla divisione tra politica e magistratura altrimenti ci troveremo in un conflitto perenne.
L'intervista nell'edizione odierna de Il Dubbio a cura di Rocco Vazzana.