“Torna il Piano Industria 4.0: è la carta anti-Covid”
L'intervista di Carlo Calenda al Corriere del Veneto.
Il primo amore non si scorda mai. proprio così. Carlo Calenda, eurodeputato eletto a Nordest e leader di Azione, il partito da lui fondato dopo l’uscita dal Pd, oggi è impegnato nella corsa a sindaco di Roma. In “gioventù” (in realtà ha solo 47 anni) è stato manager aziendale, direttore dell’area affari internazionali di Confindustria e molte altre cose ancora. la sua grande passione, però è sempre stata e sempre rimarrà la politica industriale. Dal 2013 al 2016 è stato viceministro allo Sviluppo economico, dicastero che arriva a guidare nei due anni successivi. Ed è da qui, da Palazzo Piacentini, sede dello Sviluppo economico, che nel settembre 2016 Calenda lancia il piano Industria 4.0: un articolato programma di incentivi per sostenere l’innovazione e in particolare spingere le imprese sulla strada della rivoluzione digitale. Tra il dinamico politico romano e il sistema produttivo del Nord nasce un feeling speciale. Nel Nordest della piccola imprese, poi, è (quasi) amore. Non a casa, nel giugno 2019 Calenda si candida alle elezioni europee nella circoscrizione nordorientale, ottenendo più di 275 mila preferenze. Appena il tempo di mettere piede a Bruxelles e si ricomincia: Calenda diventa responsabile del Rapporto per la nuova politica industriale europea. Un passaggio chiave per il futuro dell’Unione, “perché dopo la pandemia la prima cosa da fare dovrebbe essere esattamente quella di mettere in campo una politica industriale comune”.
Pochi giorni fa il documento è stato approvato dalla Commissione Itre, la Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia del Parlamento europeo. prossimi passaggi, il via libera in seduta plenaria da parte dello stesso europarlamento e (ci si augura) la decisione della Commissione di recepire in toto il Rapporto. Insomma, si potranno condividere o meno le sue posizioni, ma di sicuro Calenda è un politico e un tecnico di razza. Soprattutto, difficile trovare un osservatore migliore di lui per capire come sono cambiate le imprese dopo la Grande Crisi 2008-2015. E come dovranno cambiare nel post Covid per restare competitive sui mercati internazionali.
Calenda, il governo intende rispolverare la sua ricetta: la prima cosa che pensa di fare per rilanciare, grazie alle risorse del Recovery Fund, il piano industria 4.0.
“Certo. Quel piano era stato smontato a favore di provvedimenti come Quota 100 e il Reddito di cittadinanza. Per fortuna si sta tornando indietro. Qualcuno deve avere capito che per risalire la china bisogna obbligatoriamente spingere sul tasto dell’innovazione industriale. Speriamo che l’emergenza finisca in fretta. Per il dopo Covid, però, un concetto deve essere chiaro: non è possibile spendere molto di più in assistenza che in sostegno alle imprese”.
Sicuro che Industria 4.0 possa essere ancora una volta la carta vincente?
“Non ci sono dubbi. Tra 2017 e 2018 era stata stimolata una mole di investimenti superiore alle previsione del Governo. Non basta: la spesa in ricerca e sviluppo da parte dell’industria privata, tasto dolente del nostro Paese, era cresciuta del 7%. E non va dimenticato che contemporaneamente il total tax rate, il peso fiscale totale, sul sistema delle imprese era sceso del 16%. ora è il momento di completare la transizione tecnologica, altrimenti il Paese non può che arretrare”.
Questo vale anche per le piccole impese?
“Soprattutto per le piccole imprese. il digitale sembra fatto apposta per loro. Perché fa risparmiare sui costi, favorisce le produzioni personalizzate, permette manutenzioni a distanza. Si potrebbe continuare a lungo con i vantaggi”.
Lei che lo conosce bene, com’è cambiato il tessuto produttivo nordestino negli ultimi cinque anni?
“Il Nordest è stato il primo a sapersi lasciare alle spalle la Grande Crisi 2008-2015. Le imprese hanno dato prova di una straordinaria flessibilità e capacità di reinventarsi. I risultati si sono visti: è sufficiente pensare all’export, che ha preso letteralmente a volare. Oggi il Nordest ha due problemi: la scarsa capitalizzazione delle imprese, che si traduce in minore capacità di investimenti, e la carenza di competenze altamente qualificate”.
E pensando al post-pandemia, che cosa è necessario fare?
“I grandi morto dello sviluppo, riconosciuti anche a livello europeo, sono le tecnologie digitali e l’economia green. Su questi due terreni andrebbero utilizzate tutte le risorse disponibili. Subito e senza mille intrecci burocratici. Compresi i Fondi strutturali europei, che notoriamente l’Italia fatica a impiegare. Poi, ben venga il Recovery Fund. il punto è che non si può perdere nemmeno un minuto”.
Alla fine, come ne usciremo?
“Sono convinto che tornerà fuori l’orgoglio dell’imprenditoria italiana. Nella seconda metà del 2021 e almeno nei due anni successivi ci sarà un forte rimbalzo dell’economia. Solo che il dopo-Covi andrebbe preparato oggi, mettendo in campo gli strumenti giusti. Un conto è aiutare chi si trova in difficoltà, un altro è pensare di sostituire la crescita con l’assistenzialismo”.
Intervista pubblicata nell'edizione odierna del Corriere del Veneto.