Sui nuovi membri la NATO rispetta i patti
L'editoriale di Vincenzo Camporini sul Corriere della Sera.
Uno degli argomenti della narrazione/propaganda russa sulle cause della decisione di attaccare l’Ucraina è che l’Occidente è venuto meno alla promessa, che avrebbe formulato alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, di non allargare la Nato verso Est, garanzia che sarebbe stata verbalmente fornita dal segretario di Stato Usa Baker.
La realtà è ovviamente molto diversa, tant’è che il 27 maggio 1997 veniva firmato a Parigi il Founding Act tra la Nato e la Federazione Russa (https://www.nato.int/cps/su/natohq/official_texts_25468.htm), in cui tra l’altro si affermava che l’Alleanza non aveva intenzioni, piani o ragioni per ampliare la propria postura nucleare ai nuovi membri che sarebbero entrati in futuro a farne parte. Dunque, nel 1997 la Russia sottoscriveva un patto in cui prendeva atto che ci sarebbero stati nuovi membri, e otteneva la promessa formale che nel loro territorio non sarebbero state installate armi nucleari, promessa che non è mai stata messa in discussione, al punto che in tali stati non sono stati mai neppure posizionati sistemi missilistici in grado di essere armati con testate nucleari. Quindi il timore russo di vedere schierati in prossimità dei propri confini sistemi che costituissero una minaccia diretta al proprio territorio e alle proprie città, non si è mai materializzato, né esistono piani perché ciò avvenga. I «nuovi membri» arrivarono qualche anno dopo, nel 1999, con l’adesione di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, ma apparentemente questo non turbò Mosca più di tanto, visto che nel maggio 2002, al vertice Nato di Pratica di Mare, allargato anche alla Russia, venne approvata la costituzione di un Consiglio a 20, cioè non più un organo in cui la Federazione Russa si doveva misurare con la Nato nel suo complesso, ma un organismo in cui Mosca si sarebbe potuta sedere con dignità pari a quella di qualsiasi altro stato membro. Ma il disegno di Putin andava in tutt’altra direzione, come lui stesso disse esplicitamente alla Wehrkunde di Monaco il 10 febbraio 2007. Purtroppo l’Occidente non capì il messaggio e ne seguì un progressivo deterioramento delle relazioni reciproche fino agli accadimenti di queste settimane.
In tutto questo periodo la postura militare Nato non è cambiata e solo negli ultimi mesi è stata gradualmente rafforzata la presenza convenzionale nei paesi prossimi o confinanti con la Russia. Al contrario, fin dal 2013 venne avviato lo schieramento nell’enclave russa di Kaliningrad di missili Iskander, che a partire dal 2018 venne reso permanente. Si tratta di un missile con una portata di almeno 500 km, che può essere armato sia con testate convenzionali, comprese quelle termobariche, sia con quelle nucleari. Un sistema assai temibile, con velocità ipersonica, una precisione inferiore a 10 metri e una singolare capacità di manovra in fase terminale, il che rende estremamente difficile la difesa.
I missili Nato puntati contro la grande Madre Russia esistono solo nella fantasia di Putin, quelli russi che possono tranquillamente raggiungere Berlino sono schierati e pronti da tempo.
L'editoriale di Vincenzo Camporini, responsabile Sicurezza e Difesa, sul Corriere della Sera.