“A Roma il PD scelga Fuortes, non un burocrate di partito”
L'intervista di Carlo Calenda a La Repubblica.
Carlo Calenda, lei si candida a sindaco di Roma?
«Non ci penso proprio».
Perché?
«Semplicemente non lo voglio fare. Sto facendo altro, sono impegnato con Azione».
Teme di non essere abbastanza popolare?
«Non prenderei un voto dall'elettorato Cinquestelle. Quelli manco crocifissi mi appoggerebbero. Posso capirli».
Perché ha definito la ricandidatura di Virginia Raggi "la seconda ondata"?
«Mi riferivo agli effetti nefasti che produrrebbe sulla città. Mai vista una politica più incapace».
Quanti voti prenderebbe?
«Non più del 10 per cento. I romani le preferirebbero persino un laziale».
Rutelli era laziale. Moltissimi romani sono laziali.
«Era una battuta. Ho qui accanto a me mio fratello, che tifa Lazio».
Perché Raggi si è fatta avanti un anno prima del voto?
«Probabilmente è una mossa per ottenere qualcosa in cambio. Tipo andare al governo».
Lei chi vedrebbe come sindaco?
«Carlo Fuortes».
Il sovrintendente del Teatro dell'Opera?
«È tosto. Ha affrontato i sindacati e ha riportato l'Opera in utile. È andato d'accordo con tutti i sindaci, Raggi incluso».
Ma avrebbe il necessario talento politico?
«A Roma serve un sindaco con una grande capacità amministrativa, che sappia valorizzare la vocazione culturale della città. Se il Pd si convincesse a sostenerlo io farei campagna ventre a terra per lui».
Il Pd non ha alcun nome. «Temo che alla fine scelgano un funzionario di partito, o una figura che mantenga gli equilibri interni. Allora noi di Azione andremmo per la nostra strada». Come spiega il fatto che non sappia esprimere un fuoriclasse?
«Mi sembra il segnale più evidente della sua crisi».
Ci sono voci su Zingaretti.
«È il segretario del Pd. Il presidente della Regione. Sarebbe fuori luogo».
Letta le piaceva?
«Si è chiamato fuori».
E Sassoli?
«È mio amico, ma non ha mai amministrato nulla».
E allora la destra è favorita?
«Sì, anche perché sarebbe una risposta alla crisi sociale che in autunno potrebbe rivelarsi enorme, amplificando così l'insoddisfazione per l'alleanza Pd-M5S».
Pensa che ci saranno le primarie?
«Non lo so. Serve però una figura che al ballottaggio sappia prendere i voti anche dei moderati».
Il Pd sarà all'altezza della sfida che l'attende?
«Il Pd romano è il peggio del partito nazionale. Dirigenti mediocri che si accoltellano tra loro. Una classe dirigente macchiata da Mafia Capitale, che non è stata più di alto livello dopo gli anni d'oro di Rutelli e Veltroni».
Perché è così difficile governare Roma?
«È una metropoli gigantesca. Un territorio enorme, che impone una grande capacità di delega. E nessuno mai ha voluto sciogliere i nodi fondamentali: il decoro urbano, rifiuti e sicurezza, e trasporti. Perché le società che li gestiscono, Ama e Atac, sono due disastri».
Roma ha smarrito la sua vocazione?
«La sua vocazione è la cultura, ma bisogna saperla declinare. Il turismo congressuale è quasi inesistente. Il cinema sottovalutato. Quando ero al ministero ripristinammo il Mia, il mercato dell'audiovisivo. Servono idee innovative. Per farle fruttare occorrerebbe un All Star Team».
Non c'è anche un problema di classi dirigenti?
«Totale. E di civismo. Una città si salva con la collaborazione dei cittadini. Non sono i politici a parcheggiare in doppia fila».
Intervista pubblicata nell'edizione odierna di La Repubblica