Cannabis, un pasticcio tutto italiano
È urgente intervenire per evitare conseguenze ingiuste e danni economici per gli agricoltori che hanno lecitamente investito sulla Cannabis sativa.
La questione Cannabis non riguarda soltanto l’auspicata legalizzazione della marijuana e dei suoi derivati. Dall’entrata in vigore della legge n. 242 del 2016, che ha disciplinato la produzione della cannabis sativa L, si sono infatti registrati più orientamenti della giurisprudenza, alcuni frontalmente contrastanti.
La legge 242, che ha autorizzato la coltivazione della cannabis industriale (con THC inferiore allo 0,5%), non aveva difatti previsto che il vero boom di questo prodotto, coltivato legalmente in tutta Europa, non sarebbe stato il fusto o le foglie ma le infiorescenze, che vengono ricercate dalle case farmaceutiche e cosmetiche e che vengono fumate, con un effetto rilassante e non psicotropo.
Così il CDB sotto forma di olio, infiorescenze, infusi e altri derivati sono stati liberamente venduti in tutti gli esercizi commerciali, tabacchini e market, alimentari compresi, fino al novembre 2019, quando la Cassazione a sezioni unite ha deciso che separare le infiorescenze e le altre parti dal tronco della pianta, e venderle separatamente, può integrare il reato di spaccio di sostanze stupefacenti. E ciò nonostante una circolare interpretativa del 2018 del Ministero delle politiche agricole specifichi che la vendita di parti separate della pianta, ed in particolare di infiorescenze, è consentita.
In Italia può dunque capitare che una persona che acquista semi certificati che è lecito piantare e coltivare in tutta Europa, si veda sequestrare la merce, e perfino potenzialmente essere tratta in arresto, con l’accusa di produrre e cedere sostanze stupefacenti (pur consentite dallo Stato) che non hanno alcun potere drogante. L'orientamento della Cassazione non ha peraltro fatto ordine e ciascuna Procura della Repubblica sembra interpretare la legge a modo proprio. Di seguito le sintesi delle due circolari trasmesse da due Procure, riguardanti le medesime situazioni oggettive, aventi segno opposto.
PROCURA DI CAGLIARI
Circolare del 25 marzo 2021
[…] II principio affermato dalla Cassazione, valevole in termini astratti, si scontra infatti con la realtà operativa e rende difficile individuare la disciplina applicabile alle diverse situazioni concrete, con effetti tuttora problematici sia per lo svolgimento delle attività economiche in materia di commercializzazione dei prodotti della canapa, pur legittimate dalla disciplina autorizzatoria della legge n. 242 del 2016, sia per le doverose attività di controllo che devono potere essere effettuate in modo sicuro, sia anche ai fini delle determinazioni dell'Ufficio […] […] Resta quindi fermo che, a prescindere dalle richiamate percentuali di THC, ogni altra condotta di cessione o di commercializzazione di categorie di prodotti, ricavati dalla coltivazione agroindustriale della cannabis sativa L., diversi da quelli tassativamente indicati dall'art. 2, comma 2, legge n. 242 del 2016, ed in particolare di foglie, inflorescenze, olio e resina, essendo estranea dall'ambito di operatività della predetta legge, costituisce un’attività penalmente illecita, secondo la generale disciplina contenuta nel D.P.R. n. 309/1990.
Il limite alla liceità penale, quindi, non è dato né dalla qualità della canapa (Indica o Sativa), né dalla misura del THC (salvo il discorso sulla offensivista in concreto che faremo più avanti), ma esclusivamente dalla finalità per la quale la stessa è stata realizzata. La coltivazione di canapa "Sativa" è lecita solo se è realizzata per produzione dei derivati specificamente elencati nell'articolo 2 della L. 242/16. e tra questi non sono mai menzionate le infiorescenze. Per meglio chiarire e i termini della questione anche dal punto di vista pratico ed operativo, può precisarsi che, quando la finalità della coltivazione rientra tra quelle consentite, in assenza di un chiaro dettato normativo, si può ritenere che, tra le successive attività che il coltivatore può realizzare, rientri quella di procedere alla prima "lavorazione" della pianta, con la previa raccolta ed estrazione dei prodotti da destinare alle filiere indicate dall' art. 2 cit. La attività di accertamento della polizia giudiziaria in materia di coltivazioni di canapa dovrà essere compiuta sulla base e nel rispetto delle norme del codice di procedura penale, in presenza di adeguati indizi circa la illiceità penale della coltivazione, nei termini che si sono indicati in precedenza, desumibili da tutte le circostanze del caso, come per ogni altro fatto - reato.
Questi indizi possono riguardare: a) l'ipotesi che - dietro la copertura formale di coltivazioni "'legali " di cannabis sativa previste dalla legge si realizzi in vece una coltivazione illegale di Cannabis indica; b) l'ipotesi che la coltivazione di Cannabis sativa, apparentemente realizzata sulla base della legge 242, sia in realtà effettuata per realizzare prodotti diversi da quelli consentiti dalla stessa legge. Potranno quindi essere eseguiti accertamenti urgenti sui luoghi e sequestri probatori, ex art. 354c.p.p. e preventivi ex art. 321comma 3 bis seconda part e, perquisizioni di iniziativa ex art. 352 c.p.p., potendosi ipotizzare la flagranza del reato, controlli ed ispezioni sulla base delle speciali previsioni dell'art. 103 del D.P.R. 30990), nell'ovvio rispetto dei presupposti previsti da tali norme e, in ogni caso, dando avviso all'interessato della facoltà di farsi assistere da un difensore (avviso che dovrà essere documentato nel verbale delle operazioni compiute).
PROCURA DI BOLOGNA
Circolare del 17 luglio 2019
[…] Peraltro, proprio il rilevato difettoso coordinamento tra la disciplina sanzionatoria di cui al dpr n. 309 del 1990 e quella sopravvenuta della legge n. 242 del 2016 fa emergere un problema operativo praticamente irrisolvibile: quello della dimostrabilità del reato di cui all'articolo 73 del dpr n. 309 del 1990, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, proprio a fronte di un divieto di commercializzazione dei ricavati della canapa che. nonostante l'assolutezza delle conclusioni delle sezioni unite, non può certamente estendersi alle condotte astrattamente rientranti tra quelle consentite dall'articolo 2 della legge n. 242 del 2016.
Anzi, per talune di queste attività (come il florovivaismo) tale commercializzazione e coessenziale e non può essere considerata illecita. […]
In questa ottica, diventerebbe allora oggetto di una probatio diabolica la dimostrazione del "dolo" del reato in capo al commerciante, che si dovrebbe provare sapesse che l'oggetto della vendita esulava dall'ambito di una delle destinazioni lecite e fosse invece qualificato dall'intenzione dell'acquirente di assumere la sostanza per un uso ricreativo personale illecito. […]
[…] Alla luce di quanto esposto, fino ad una auspicabile puntualizzazione legislativa che risolva, ab imis, il persistente conflitto tra la disciplina sanzionatoria degli stupefacenti di cui al dpr n. 309 del 1990 e quella autorizzatoria della legge n. 242 del 2016, tale da rendere difficile per gli operatori del settore un adeguato intervento vuoi in ottica di prevenzione, vuoi in ottica sanzionatoria, gli organismi di vigilanza potrebbero e dovrebbero limitarsi alla verifica della correttezza e regolarità della filiera che ha portato il commerciante ad acquistare a fini di rivendita la sostanza. Mentre è dubbio che possano censurarsi di per sé il possesso e la messa in vendita di prodotti - inflorescenze, foglie, resina, ecc. - che astrattamente possono ben rientrare nell'ambito delle finalità di destinazione lecita (in primo luogo, il florovivaismo).
[…] Mentre, sotto il profilo squisitamente sanzionatorio, non potendosi ammettere un divieto assoluto di commercializzazione di detti prodotti, è veramente estremamente difficile la dimostrazione rigorosa del dolo del reato di cui all'articolo 73, commi 1 e 4, del dpr n. 309 del 1990 (sub specie, della consapevolezza da parte del commerciante che l'acquisto non è finalizzato a soddisfare una delle finalità lecite ex articolo 2 della legge n. 242 del 2016, ma vi è l'intenzione della assunzione ricreativa personale), che non può desumersi tout court da una sorta di responsabilità di posizione che presupporrebbe un’inesistente e impretendibile obbligo di verifica delle intenzioni dell'acquirente.
[…] Da ciò derivando che i procedimenti che dovessero aprirsi, in difetto di rigorosa prova del dolo, dovrebbero essere destinati a pronunce liberatorie, quantomeno sotto il profilo dell'elemento soggettivo, senza neppure che si debba approfondire ii tema dell’offensivista delia condotta (presenza di principio attivo drogante) rispetto alla qualità dei prodotti commercializzati.
Per risolvere immediatamente il problema, senza necessità di un passaggio parlamentare, che ovviamente comporterebbe, data la natura della materia, un lungo dibattito, potrebbe utilizzarsi un sistema più snello che consenta da un lato di non poter perseguire penalmente, secondo gli umori della singola Procura, i soggetti che stanno coltivando la cannabis Sativa L conformemente a quanto previsto dalla legge dello Stato e dall’altro di non deprimere l’enorme indotto economico che si è creato intorno alla filiera della cannabis sativa e che ha consentito di riprendere fiato e di produrre ottimi utili da parte degli agricoltori che vi si sono dedicati.
Il D.P.R. 309/90 (legge che regola e reprime la circolazione e la produzione delle sostanze stupefacenti) all’art 13 attribuisce al ministero della salute il potere di vigilare, inserire, modificare la composizione delle tabelle che indicano le singole sostanze stupefacenti, e con proprio decreto stabilirne il completamento e l'aggiornamento.
L’Art 14, delinea le tabelle ed alla lett. b n. 2 include nella tabella la cannabis ed i suoi derivati, senza specificare null’altro.
Sarebbe sufficiente che il Ministro della Salute, con decreto, avvalendosi del potere riservatogli dalla legge, specifichi all’interno della tabella di riferimento, sentito il parere dell‘Istituto Superiore di Sanità, che la cannabis inclusa nella tabella è quella con valore di THC superiore allo 0,6% o un’altra percentuale, che poi è lo stesso limite già imposto ai produttori di cannabis Sativa L all’interno della L. n. 242 del 2016.
Con un solo atto amministrativo si eliminerebbe un conflitto tra norme che sta mettendo in ginocchio un’intera economia agricola produttiva in attesa di regolare più dettagliatamente la materia. Ma soprattutto si eviterebbero molti processi penali inutili a persone che stanno svolgendo un’attività prevista e finanziata dalla legge.
Esistono peraltro numerose altre fonti che avallano l'impostazione di cui sopra, tra la circolare del Ministero dell’Interno del 31 luglio 2018, il fatto che, recentemente, l’ONU abbia recepito la direttiva dell’OMS e abbia eliminato la Cannabis tutta dalla tabella delle sostanze stupefacenti per inserirla in quella delle sostanze con proprietà terapeutiche, i ripetuti pareri dell’Istituto Superiore di Sanità e la sentenza della Corte di Giustizia Europea circa il divieto degli stati membri di ostacolare la libera circolazione del CDB, in quanto non considerata sostanza psicotropa i quali dovrebbero far propendere per un veloce intervento che eviti le criticità sopra esposte.
In conclusione, la materia è caratterizzata da evidenti lacune normative che determinano ampissimi spazi di discrezionalità giudiziaria e decisioni spesso diametralmente opposte. Appare pertanto urgentissimo intervenire con opportuno DM onde evitare conseguenze afflittive ingiuste, e conseguenti danni economici, a carico di tanti agricoltori che hanno lecitamente investito sulla Cannabis sativa.