Il Piano per superare il blocco dei licenziamenti in cinque mosse
Carlo Calenda e Giampiero Falasca su Il Sole 24 Ore.
Il mercato del lavoro italiano, dopo lo scoppio della pandemia, si trova in una situazione di grande fragilità.
L'utilizzo della cassa integrazione, e la sua combinazione con il divieto di licenziamenti, ha avuto il merito di ritardare il devastante impatto occupazionale che avrebbero potuto avere le misure prese per ridurre i rischi di contagio. A distanza di un anno questi interventi non possono costituire la principale misura di politica del lavoro del nostro Paese nel periodo pandemico, perché danneggiano le persone che vogliono proteggere, oltre a compromettere il mercato del lavoro.
Per superare questa logica dell'emergenza non basta invocare il ritorno alle politiche attive perché sono mesi che siamo fermi agli slogan.
Suggeriamo un piano di azione per uscire da questa fase di congelamento del mercato del lavoro contenendo e riducendo l'impatto occupazionale che avrà il ritorno alle regole ordinarie, destinato a chi potrebbe perdere il lavoro, lo ha perso o lo perderà a causa della pandemia.
La prima misura è la gradualità nel superamento del divieto di licenziamento. Le ipotesi di rimozione per settori non convincono: non c'è un motivo oggettivo per cui un settore in crisi debba poter licenziare prima di un altro che non lo è, o viceversa. E la stessa definizione di settore "in crisi" si presta a letture troppo soggettive. Il criterio che consentirebbe di uscire senza trattamenti differenziati dall'attuale situazione di divieto è quello numerico: ripartire consentendo i licenziamenti individuali e, a scadenze diverse, ripristinare le regole per quelli collettivi, procedendo per scaglioni. Un percorso cioè con date e scadenze certe.
La seconda misura è lo spostamento di una parte delle risorse oggi destinate alla cassa integrazione alla NASPI, riconoscendo un anno aggiuntivo di indennità di disoccupazione ai licenziati dopo la fine del divieto e fino alla fine dello stato di emergenza.
La terza misura è il voucher per la ricollocazione. Ogni lavoratore "licenziato dal Covid" dovrebbe ricevere, oltre alla NASPI rinforzata, un voucher da spendere presso un centro per l'impiego, un ente di formazione o un'Agenzia per il lavoro, fruendo di servizi di orientamento, supporto alla ricollocazione professionale, formazione e reinserimento lavorativo. Chi eroga il servizio dovrebbe ricevere un premio proporzionato al risultato raggiunto, tenendo conto della situazione di partenza.
Un meccanismo che si potrebbe introdurre con semplici regole, se solo fossimo capaci di superare l'approccio burocratico e ideologico che, negli ultimi venti anni, ha imbrigliato ogni riforma dei servizi per l'impiego dentro procedure controproducenti.
La quarta misura è la concentrazione degli incentivi alle assunzioni sulla platea specifica dei lavoratori che hanno perso il lavoro durante e dopo la pandemia; queste persone dovrebbero essere portatrici di un incentivo contributivo triennale a favore di chi le assume.
La quinta misura è sul decreto dignità. Dobbiamo prendere atto che, nell'attuale contesto economico e produttivo, i vincoli eccessivi sui contratti a termine e di somministrazione producono due effetti: spingono i lavoratori verso quelli precari e non tutelati (le false partite iva, gli appalti illeciti, le cococo irregolari) e incentivano le imprese a fare turnover tra i lavoratori temporanei. Serve la cancellazione immediata del requisito della causale, per indicare al mercato la strada della flessibilità regolare come principale strumento di ingresso al lavoro e disincentivare la corsa verso quello precario.
Queste misure non bastano a risolvere le sfide del mercato del lavoro post pandemia: serve uno smart working equilibrato, una collocazione adeguata ai lavori della gig economy, un massiccio investimento nel capitale umano e nelle competenze, ridare speranza ai giovani che faticano a trovare lavoro, ridurre il carico burocratico sulle imprese e combattere il precariato dei contratti irregolari. Sfide di medio e lungo periodo per una discussione seria sulle possibili linee di intervento.
Carlo Calenda e Giampiero Falasca su Il Sole 24 Ore