Il nostro progetto può cambiare la politica italiana

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05/09/2023

L'intervista di Carlo Calenda al Corriere

Senatore Carlo Calenda, ci risiamo: Renzi ha annunciato la candidatura alle Europee a Milano con un nuovo soggetto, Il Centro.

«Tanti auguri per il progettino del Centro, qualunque cosa sia, e per la candidatura di Renzi».

Non le sembra un progetto ambizioso?
«Manifesta un’ambizione diversa da quella del Terzo polo. Che era la costituzione di una unione delle forze riformiste, popolari e liberali che si riconoscono nei valori repubblicani per superare scontri improduttivi e ideologici tra destra e sinistra. L’unica direzione che può determinare una svolta in Italia: superare una conflittualità sterile. Noi rimaniamo su questa linea. L’idea di Renzi evidentemente era un’altra dall’inizio».

E lei non se n’era accorto?
«Era un tentativo da fare. Speravo di rivedere il Renzi del primo periodo del suo governo. Un partito di centro che se vincono i 5 Stelle va con loro, se vince la destra si allea con la destra, non è all’altezza della sua storia di presidente del Consiglio. Dopo di che il suo progetto è legittimo, ma non è il nostro».

Il rischio, però, con un terzo polo che si dimezza, non è quello dell’irrilevanza?
«Sono convinto del contrario. Gli italiani capiscono sempre di più che non devono farsi prendere in giro da chi propone soluzioni semplici a problemi complessi e poi non riesce a realizzare nulla di quanto promesso. È un percorso lungo. L’unico che abbia un senso, però. Altrimenti perché fare un nuovo partito? Basta accomodarsi in uno esistente».

A lei resta l’opzione del campo largo.
«Il campo largo non esiste. Sono uscito dal Pd quando ha deciso di allearsi con il Movimento 5 Stelle, proprio sulla spinta di Renzi. Non abbiamo voluto mettere la firma sotto provvedimenti disastrosi come quello del bonus del 110%. La più grande spesa regressiva e ingiusta mai fatta. Costerà alla fine 120 miliardi di euro. E consentiva a me, in linea teorica, ovviamente non me ne sono avvalso, di rifarmi casa a spese di operai, impiegati e pensionati. Ecco come governa il M5S: figuriamoci se posso immaginare di governare con loro».

E con il Pd guidato da Elly Schlein?
«Con il Pd viceversa si possono fare battaglie comuni su grandi emergenze italiane: Pnrr, sanità e salari. Ma la linea di Schlein su ambiente, Jobs act e spese militari non mi convince per nulla».

Qual è la vostra proposta in tema di sanità?
«Oggi due milioni di italiani rinunciano alle cure. Quattro milioni si indebitano per curarsi. Ci sono dieci milioni di prestazioni urgenti arretrate, come screening oncologici e interventi chirurgici. Abbiamo proposto che almeno queste prestazioni vengano rimborsate se fatte intramoenia o in strutture private. Servono due miliardi. Altri 8 miliardi servono per personale medico e infermieristico».

Soldi che nell’attuale congiuntura sembrano difficili da reperire.
«Non se si rinuncia al taglio del cuneo fiscale. Assicurare alle famiglie 30 euro al mese in più, lasciando a loro carico le cure, non risolve niente. In Italia la spesa sanitaria pro capite è di 2.800 euro. In Germania è di 6.000 e in Francia di 4.500. È urgente intervenire».

Altro investimento sul quale lei, con Pd e M5S, insiste molto è quello del salario minimo.
«Salario minimo accompagnato da un pacchetto più ampio di interventi che includa incentivi per i rinnovi contrattuali, cancellazione dei contratti pirata e detassazione del salario di produttività. Un accordo tra maggioranza e opposizione è possibile. Molto dipenderà dalla qualità del documento che tirerà fuori il Cnel. Del resto per l’introduzione del salario minimo in passato hanno presentato proposte anche i partiti di Salvini, Meloni e Renzi».

Lei è intervenuto anche quest’anno a Cernobbio: ha avuto la sensazione di una platea più fredda rispetto a un anno fa?
«Non mi pare proprio, ma non sta a me dare giudizi. A Cernobbio c’è un mondo che conosco bene. Quello che ha usato Industria 4.0, quello che ho portato nel mondo come viceministro. Se rappresentasse la platea elettorale sarei un pezzo avanti. Ma il tema è convincere tanti italiani a votare con la testa e non con la pancia, soprattutto non per rabbia. Ed è molto più complicato che ottenere una buona accoglienza dagli imprenditori».

Imprenditori che però sostanzialmente giudicano positivamente il governo.
«Mah, gli imprenditori sono governisti per definizione. Il giudizio molto positivo era di circa il 7% degli interpellati. Più alta è la percentuale di chi si esprimeva in senso non negativo. E nel primo anno di governo. Non mi pare granché».

Ha spesso lodato anche lei il governo Meloni: ha maturato un’opinione diversa?
«Per noi essere obiettivi è un dovere morale. Ho detto e ribadisco che è sulla strada giusta su alcune cose: è il caso della norma sull’abuso d’ufficio e delle intenzioni annunciate sul nucleare».

Riguardo a quali posizioni, invece, è deluso?
«Il governo ha una sfida strutturale da vincere: su salari, sanità, scuola, Pnrr. E non lo sta facendo. Risultati concreti, a parte un corretto atteggiamento prudente sui conti, non mi pare di vederne».

(Intervista a cura di A. Logroscino disponibile qui)