Sul Pnrr siamo all’emergenza nazionale

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11/07/2023

L’intervista di Carlo Calenda a Huffington Post

“Guardi, la situazione è molto seria. Mi faccia partire con un appello. Spassionato”

Prego Calenda.

Stiamo perdendo il Pnrr e, con esso, la nostra credibilità internazionale e la possibilità di modernizzare il paese. Siamo all’emergenza. E allora in nome dell’interesse nazionale: chiedo a Meloni e Schlein su questo punto fermiamoci e cerchiamo insieme una soluzione condivisa.

È appena terminata la riunione della cabina di regia sulla quarta rata, pari a 16 miliardi di euro.

Per l’appunto: mancano 17 obiettivi su 27, in un quadro complessivo in cui quest’anno abbiamo speso solo 1,2 miliardi su 30. Un ritardo clamoroso. È ora che tutti, a partire dal governo, facciano un bagno di realtà.

Il ministro Fitto ha chiesto una revisione, cambiando dieci obiettivi. È un bagno di realtà?

A questo punto la revisione è una scelta obbligata e indispensabile. È chiaro che non riusciremo a completare i 155 mila bandi previsti dal piano.

Cosa propone?

Dobbiamo convertire una parte delle risorse in crediti d’imposta per gli investimenti digitali, ambientali ed energetici. Dobbiamo usare il meccanismo di industria 4.0 per far diventare il Pnrr il nostro Inflation Reduction Act che negli Usa sta avendo un successo straordinario. Ma dobbiamo soprattutto compiere un salto di qualità politico: darci una mossa e presentarci uniti in Ue.

Aspetti, finiamo il quadro. C’è pure il problema della terza rata. Qualche mese fa Giorgetti aveva detto “arriverà ad ore”, e invece non è stata ancora versata dall’Ue. Quali sono le criticità?

Criticità minori. Il problema di fondo è che questo governo non avendo un’idea di paese non riesce neppure a disegnare un nuovo Pnrr.

Riesce a quantificare quanti miliardi sono stati spesi finora?

Circa 26 miliardi quasi tutti da Mario Draghi e quasi tutti sono quelli non a bando ma con meccanismi automatici di spesa. Crediti d’imposta e similari. La pubblica amministrazione italiana non sembra in grado di spendere. E aggiungo: prevedere 133 mila bandi sotto il milione di euro è stato un grosso rischio.

Dica i settori più critici.

Alcune situazioni sono semplicemente scandalose come l’1 per cento dei fondi spesi sulla missione sanità. Anche in questo caso però occorre dire che alcuni progetti come le case di comunità di Roberto Speranza erano del tutto velleitari non essendoci i medici e gli infermieri per farle funzionare. 

Il problema è la cosiddetta messa a terra. Quale è il quadro della situazione?

I comuni non riescono a spendere perché manca il personale e spesso devono pagare in anticipo. A ciò si aggiunge il problema della paura della firma. A questo punto già sappiamo che molti di quei soldi non verranno spesi e dovrebbero essere reindirizzati, ma c’è un problema politico: devi spiegare a migliaia di sindaci che i progetti che hanno sbandierato come già fatti, non si faranno mai. 

Insomma, avanti così, siamo di fronte a un fallimento annunciato…

Sì. Per questo propongo a governo e opposizione di operare un radicale reindirizzo delle risorse verso le imprese e il lavoro e di ridisegnare insieme il Pnrr. È inutile girarci attorno o peggio fare finta di nulla. Insisto: siamo all’emergenza nazionale. Azione è pronta a collaborare in ogni modo ma per favore smettiamola con il “tutto bene”

Ricordiamo quanti punti di Pil vale il Pnrr.

Più di dieci, ma non è questo il punto. Il Pnrr era la nostra occasione per sanare trent’anni di declino italiano. Dovevamo usarlo per rimetterci al pari con i grandi paesi europei. Oggi l’Italia è fanalino di coda su: salari, istruzione, efficienza della pubblica amministrazione, spesa sanitaria, inclusione delle donne nel mercato del lavoro, numero di giovani Neet (che non lavorano e non studiano, ndr). Gli effetti di questi trent’anni di rumore e basta che vediamo continuare in questi mesi. Si urla ma non si riesce a far nulla. Nulla di destra e nulla di sinistra.

Però Calenda, cerchiamo di capire quanto c’è di oggettivo in questo ritardo e quanto di soggettivo. Lei faceva riferimento alle lungaggini della pubblica amministrazione italiana. C’è un tema di macchina pubblica che avrebbe reso la missione complicata per chiunque.

Sì, c’è. Ma le racconto una cosa: quando arrivati al ministero i miei amici manager mi dissero: “Non riuscirai a fare nulla per colpa dei burocrati”. E invece ho fatto tutto ciò che volevo. Industria 4.0, la Strategia Energetica Nazionale, la Tap, la cancellazione di 12,5 miliardi di fondi non spesi. Ho capito allora che il problema è politico. Sono i politici che non sanno e non vogliono gestire. Fanno dichiarazioni, leggi e conferenze stampa ma non stanno con le chiappe sulla sedia a verificare come funzionano i processi di lavoro e a coordinare la burocrazia. Del resto basta leggere i loro curriculum. Spesso non hanno mai amministrato alcunché. 

Si dice: un errore cambiare la governance. Però la struttura di Fitto ancora non è partita.

Appunto. Abbiamo accumulato un ulteriore ritardo. Guardi io ho stima di Fitto. È uno dei pochi politici ad avere esperienza e passione per la gestione. Però ho l’impressione che sul Pnrr non abbia spazi di manovra politici. 

C’è un errore tutto politico a monte? Si è data l’idea che fosse un obiettivo burocratico, come se si raggiungesse da solo, mentre la politica discettava di finte priorità, dai rave alla commissione Covid? Questo ha prodotto un allentamento della tensione?

La politica, come dicevo, ha terrore di misurarsi con l’implementazione e dunque cerca continuamente di riportare la discussione su polemiche inutili. La commissione Covid è un regolamento di conti e un’arma di distrazione di massa. Un regolamento di conti per Matteo Renzi, che ha promosso una commissione contro il governo di cui faceva parte per attaccare Giuseppe Conte e un’arma di distrazione di massa per la destra che ha spesso flirtato con i No Vax. 

Sbaglia chi dice che l’Europa è particolarmente severa con un governo che, su parecchi dossier come il Mes, è particolarmente indisponente per l’Europa?

L’Ue è stata enormemente disponibile con Meloni. Enormemente. Ciò è dovuto essenzialmente alla linea del governo sull’Ucraina. Oggi in Ue conta quasi solo questo. La mia impressione è che all’inesistenza di risultati concreti su tutti i dossier, compresa l’immigrazione, corrisponderà un aumento della polemica da parte della premier. Ma fino alle elezioni europee l’Ue sarà paziente.

Insomma, lei dice: il problema è semplice. Ed è che non sanno dove mettere le mani. C’è un problema di incompetenza più che di deriva orbaniana.

Ma certo. Il problema in Italia è sempre stata l’anarchia non la dittatura. Toni forti e risultati deboli. Così si può alimentare il voto contro l’avversario che è l’unico motivo di voto rimasto per la minoranza degli italiani che ancora va alle urne. Questo è il teatrino degli ultimi trent’anni. 

Lei diceva: pronti a collaborare in nome dell’interesse nazionale. Bene. A questo punto crede che sia giusto chiedere meno soldi visto che non si riesce a spenderli?

I soldi si possono spendere e bene.  Ripeto serve un nostro Inflation Reduction Act che rilanci gli investimenti e aumenti i salari e la produttività. Si può fare. Abbiamo mandato al governo i numeri, la norma e le coperture. 

Si ha quasi la sensazione che le opposizioni tifino per il fallimento.

Noi no. Fallire vorrebbe dire mancare la possibilità di modernizzare il paese e chiarire al mondo che siamo senza speranza. Le dico di più, se Meloni ha bisogno di una mano operativa noi siamo a disposizione. Gestire e implementare mi diverte, è il mio lavoro. 

Le opposizioni avranno pure i loro limiti, però il premier ha le sue responsabilità con la sua postura particolarmente aggressiva. Come se la spiega? Il contesto non giustifica questo nervosismo. C’è un limite caratteriale o di cultura politica nel senso di minoritarismo da Colle Oppio?

C’è l’epica personale che l’ha portata da zero al 30 per cento. L’epica dell’outsider tosta e irriducibile. E le confesso che a me fa anche simpatia. Bello avere in Italia una self made woman. Il problema con le epiche personali è che si fa difficoltà ad abbandonarle. Oggi Meloni è la premier di tutti gli italiani, ma continua a comportarsi come prima, come se fosse all’opposizione. E questo è un grande problema. Non è cambiata e invece il ruolo lo richiede. 

Sul salario minimo, c’è stata la prima seria iniziativa delle opposizioni. Per caso il premier vi ha fatto una telefonata per confrontarsi o se ne frega?

Per il momento se ne frega, ma non potrà continuare. L’anno scorso gli italiani più poveri hanno pagato un’inflazione al 17 per cento su salari e pensioni che erano già da fame. La proposta che abbiamo fatto è giusta ed equilibrata e rafforza la contrattazione. Dico io, almeno sediamoci e parliamone. 

Temo che tutti i suoi appelli cadranno nel vuoto.

Sarebbe un errore. Il governo è davanti ad un bivio. Può fermare le polemiche e aprire un confronto o continuare ad alzare i toni in Italia e in Ue per mascherare i risultati deludenti. In questo secondo caso, dopo le europee, si aprirà una crisi.

Bah, mi sembra più un auspicio che un’eventualità concreta.

Sono pronto a scommettere. La scelta per Giorgia è semplice: cambiare ora o rimanere uguale e schiantarsi.

(Intervista a cura di A. De Angelis disponibile qui)