L’autonomia regionale non disunisca il Paese

Notizie
05/07/2023

L’intervista di Mara Carfagna al Corriere del Mezzogiorno

Non è pregiudizialmente contraria all'autonomia. Ma ha forti riserve sul modello propugnato dal ministro Roberto Calderoli. Per l'ex ministro del Sud Mara Carfagna, ora deputato e presidente di Azione, la notizia delle dimissioni di autorevoli giuristi dalla Commissione per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni non rappresenta certamente un fulmine a ciel sereno.

Presidente, che lettura dà delle dimissioni di Giuliano Amato, Franco Bassanini, Franco Gallo e Alessandro Pajino?

«Non mi sorprendono e si aggiungono al lungo elenco di critiche argomentate e motiviate già avanzate da Bankitalia, Confindustria e Ufficio parlamentare di bilancio, oltre che da tanti autorevoli costituzionalisti ed economisti».

Condivide le motivazioni delle dimissioni?

«Sì, le condivido. Condivido tutte le critiche e le perplessità espresse, e non certo perché sia pregiudizialmente contraria all'autonomia. Sono anzi favorevole all'idea di devolvere alcune competenze ai livelli di governo più vicini ai territori per favorire la responsabilizzazione delle classi dirigenti locali e affinché i cittadini possano beneficiare di maggiore efficienza nei servizi ed esercitare più efficacemente il controllo sulla spesa dei fondi pubblici».

Quali sono le condizioni che renderebbero accettabile l'autonomia?

«Il processo deve rispettare tre principi. Il primo: l'uguaglianza di tutti i cittadini indipendentemente dal

luogo di nascita o di residenza. E questo significa non solo determinare i livelli essenziali delle prestazioni, ma finanziarli. Altrimenti l'autonomia diventa un affare solo per le Regioni ricche, per quelle cioè che hanno un'alta capacità fiscale e quindi le risorse per garantirsi standard elevati di servizi. Il secondo principio è l'unità e indivisibilità della Repubblica che significa evitare la frammentazione di competenze che possa indebolire il principio stesso: è giusto, cioè, che alcune materie restino nella disponibilità dello Stato centrale. Penso, a mo' di esempio, all'istruzione, all'energia, ai rapporti internazionali, al commercio con l'estero, alle grandi reti di trasporto. Dopo le crisi che abbiamo vissuto, sia quella pandemica sia quella energetica, sarebbe un affare avere differenti impostazioni su energia, sanità, trasporti e istruzione?  Credo che anche per il Nord non sarebbe un buon affare. Pensiamo alle imprese che perano su scala multiregionale: si troverebbero a fare i conti con sistemi burocratici e autorizzativi differenti e sarebbero penalizzate da un aumento dei costi per le procedure e gli adempimenti. Peraltro, l'Ufficio parlamentare evidenzia anche che questo tipo di autonomia finirebbe per aumentare il divario tra i territori».

Il terzo principio?

«Riguarda il ruolo del Parlamento. Con questo modello il Parlamento sarebbe costretto a ratificare un'intesa a scatola chiusa, come se si trattasse della ratifica dei trattati internazionali. Il Parlamento non potrebbe incidere sui Lep e non potrebbe incidere sul trasferimento di risorse umane e strumentali».

Le dimissioni di autorevoli giuristi dalla commissione provocherà un effetto domino?

«Questo oggettivamente non lo so, non conosco le dinamiche interne al comitato, dunque non posso azzardare previsioni. Spero, però, che queste dimissioni inducano il Governo a rivedere il progetto di autonomia di Calderoli, a ritrarlo e a presentarne uno che rispetti le previsioni costituzionali».

Pensa che ci siano le condizioni non tanto per l'individuazione quanto per l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni?

«Calderoli e altri esponenti del Governo sostengono che, grazie al loro progetto, siamo di fronte a una rivoluzione. Non è così. Il Governo Draghi, con la legge finanziaria del 2021, ha finanziato i lep per gli asili nido, il trasporto scolastico per studenti con disabilità e gli assistenti sociali. E questo senza istituire una commissione ad hoc di oltre 60 membri».

(Intervista a cura di G. Cuomo)