Il governo taglia i fondi per il Sud

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10/01/2024

L’intervista di Mara Carfagna al Corriere del Mezzogiorno

«Il Fondo per la perequazione infrastrutturale è stato tagliato dall'attuale Governo, c'erano 4 miliardi e 600 milioni, sono rimasti sì e no 700 milioni». È la denunzia molto circostanziata che il presidente di Azione e deputata Mara Carfagna, ministra per la Coesione e il Mezzogiorno nel Governo Draghi, affida al Corriere del Mezzogiorno.

Presidente, perché era nato questo Fondo?

«Era stato creato dal governo Conte 2 ma di fatto lo aveva reso operativo il governo Draghi. La ricognizione fu fatta sulla base di precisi criteri metodologici e statistici, per poter quantificare con precisione i differenti fabbisogni in-frastrutturali».

Che risultati diede questo lavoro?

«Individuammo quattro macro settori sui quali intervenire per coprire il gap infrastrutturale: le opere idriche, l'istruzione, la sanità e i trasporti. Poi, a loro volta, suddividemmo questi macro-comparti in sottosezioni, per esempio per l'istruzione distinguemmo tra edilizia scolastica e asili nido, e così via».

Si tenne conto del fatto che già col governo Draghi era stato dato il via al Pnrr e al Piano complementare, per cui alcune opere infrastrutturali sarebbero state finanziate e realizzate con questi fondi?

«I criteri adottati garantivano complementarietà con il Pnit e il Pnc e tenevano conto di alcuni parametri tra cui insularità e fabbisogni del Sud».

Inizialmente questo Fondo ammontava a 4 miliardi e 600 milioni. Come decideste di suddividere questa somma tra i quattro macrosettori?

«Sulla base della metodologia adottata la suddivisione dei 4 miliardi e 600 milioni fu fatta in questo modo: circa 1 miliardo e 300 milioni per il settore idrico, circa un miliardo e 100 milioni per il comparto dell'istruzione, poco più di un miliardo per il divario infrastrutturale in campo sani-tario, infine un miliardo e cento milioni per i trasporti».

Questo il riparto per quel che riguarda le aree di intervento per avviare a superamento i gap infrastrutturali, e per quel che riguarda la ripartizione tra le diverse aree del Paese, cioè Centro, Nord e Mezzogiorno?

«Dalla puntuale ricognizione che facemmo, emerse che i maggiori fabbisogni riguardano le aree meridionali per 1'80% del Fondo perequativo infrastrutturale. In concreto significa che su 4 miliardi e 600 milioni, al Sud dovevano essere destinati circa 3 miliardi e 700 milioni proprio con l'obiettivo di avviare in tal modo il superamento dei divari infrastrutturali».

Cosa ha deciso invece l'attuale ministro della Coesione Raffaele Fitto che ha anche la delega per il Pnrr?

«Il Fondo è stato in pratica azzerato dal mio successore, attraverso un definanziamento ben nascosto tra i vari capitoli della legge di Bilancio

2024. Il ministro Fitto ha ereditato un lavoro dettagliato ma l'ha subito accantonato, ora si scopre anche che il Fondo è stato quasi completamente svuotato. Allora, spieghi ai cittadini meridionali il perché. Quando era all'opposizione saliva in cattedra a dare lezioni di coerenza in materia di Sud e Coesione, ora è diventato afono?».

Perché, secondo Lei, la premier Giorgia Meloni e l'intero governo non avrebbero a cuore gli interessi del territorio meridionale, dove pure i partiti della maggioranza hanno una consistente base elettorale?

«Il pesante taglio del Fondo perequazione infrastrutturale è stato fatto nel silenzio dell'intero governo. Una scelta miope, grave, irresponsabile. Un altro schiaffo al Sud, a conferma di quanto poco il Mezzogiorno interessi all'attuale esecutivo. D'altro canto, nella lunghissima conferenza stampa di inizio anno, la presidente del Consiglio non ha mai minimamente fatto neppure un accenno al Meridione. Chiedo alla maggioranza in Parlamento: come mai nessuno dice nulla, per esempio, sul tema dell'abbandono delle zone interne, per le quali ci sono fondi immediatamente disponibili che non sono mai stati spesi? E sulle risorse dei Contratti istituzionali di svilupро?»

Ieri Fitto ha incontrato i commissari delle attuali 8 Zone economiche speciali, presenti i rappresentanti della nuova Struttura di missione che subentreranno dal 1 marzo. Forse l'attuale governo ritiene di puntare sulla Zes unica come leva dello sviluppo meridionale?

«Anche sulla Zona economica speciale vedo molta incertezza e decisioni tardive. E poi come si può pensare che una struttura di governance a Roma conosca le esigenze del territorio meglio di chi vi opera? Peraltro, ancora non è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del presidente del Consiglio per regolare la transizione. Nel frattempo, l'adozione di una serie di provvedimenti ad opera degli 8 commissari è paralizzata. In Campania ci sono 30 Conferenze dei Servizi sospese. In Calabria 15 e così via».

Che ne pensa dell'idea di estendere l’area Zes a tutto il Mezzogiorno?

«Sono favorevole, ma la copertura dei crediti d'imposta è irrisoria, 1,8 miliardi, quando solo per la Zes Campania servirebbe un miliardo».

(Intervista a cura di E. Imperiali)