Per la transizione demografica servono gioco di squadra e visione. L’intervista di Elena Bonetti.
Di seguito, l’intervista di oggi di Elena Bonetti a Il Sole 24 Ore
Per affrontare la transizione demografica «non bastano politiche anno per anno, non è sufficiente l’approccio legislativo a silos e categoriale che finora il nostro Paese ha prevalentemente utilizzato. Serve una visione di lungo periodo». Nasce da qui – spiega Elena Bonetti, deputata e vicepresidente di Azione ed ex ministra per le Pari opportunità e la Famiglia nei Governi Conte 2 e Draghi – la proposta di legge di cui è prima firmataria, approvata ieri all’unanimità a Montecitorio, che istituisce una commissione di inchiesta «sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto», in grado di spaziare in ogni direzione, dal lavoro alla casa, dai flussi migratori alla sanità. Obiettivo: «Raccogliere e analizzare i dati per definire una strategia multidimensionale e attivare tutti i player che possono attuarla».
L’emergenza spaventa?
La crisi demografica mette l’Italia su un percorso di non sostenibilità che rischia di diventare irreversibile. Nel 2023 abbiamo raggiunto il minimo storico dei nati, 379mila, e il tasso di fecondità è crollato a 1,2 figli per donna. I minori in povertà assoluta hanno raggiunto il 14%. L’aspettativa di vita viaggia a 83,1 anni. Si stima che nel 2050 il 35% della popolazione avrà più di 65 anni. Non solo si prevede che in dieci anni l’Inps avrà un buco di 20 miliardi, ma le imprese faticheranno sempre più nella ricerca di manodopera qualificata in innovazione tecnologica.
Lei è una matematica e viene dal mondo dell’accademia. La transizione demografica “chiama” la transizione di saperi?
Aver allargato l’oggetto della commissione alle valutazioni sull’elemento educativo è un aspetto fondamentale. Bisogna aumentare la qualità della produttività sociale per affrontare le sfide del futuro, come l’intelligenza artificiale. Un tessuto imprenditoriale composto in larga parte da piccole e medie imprese necessita di persone con adeguate competenze e di una strategia di investimento complessivo. E poi c’è il tema dei flussi immigratori ed emigratori.
Quale sarà il punto di approdo?
La commissione sarà un luogo di coinvolgimento e di ascolto di tutti i soggetti che nel Paese si trovano a gestire le cause e gli effetti della questione demografica. Puntiamo a un documento finale basato su un approccio sistemico, capace di fornire indirizzi a legislatore e Governo e una valutazione potenziale d’impatto demografico delle politiche. Un gioco di squadra per il Paese. È il metodo che ho usato quando ho scritto la riforma del Family Act: allora, per la prima volta, si dava una dimensione di carattere strategico a uno dei tasselli della questione demografica. Ora va integrato con gli altri.
Un gioco di squadra che deve avere respiro europeo…
Saper ricomporre pragmaticamente le parti è essenziale. Il bipolarismo estremizzato isola l’Italia in Europa e non può offrire risposte efficaci alle rivoluzioni in corso.
Matteo Renzi ha aperto al campo largo. Il centro serve ancora?
Sì. E non condivido affatto l’idea del centro impossibile, o possibile solo se trainato a destra o a sinistra. Si commette l’errore di allontanare ancora di più l’Italia dall’alleanza che in Europa si è confermata l’unica in grado di governare non solo le emergenze, ma anche le opportunità: l’accordo tra popolari, liberali e socialisti. Finché non avremo uno spazio liberale di centro per connettere i popolari di Forza Italia e i riformisti del Pd, questa opportunità non si potrà costruire. Serve tempo, ma non si può piegare a piccoli interessi di parte una sfida che è storica per il Paese.
(intervista a cura di Manuela Perrone)