Mozione Congressuale
Mozione Congressuale – Azione
Candidatura alla segreteria nazionale di Carlo Calenda
Quando abbiamo fondato il nostro movimento politico, nel novembre del 2019, abbiamo evidenziato come la nostra non fosse una scelta tattica di posizionamento politico sullo scacchiere nazionale, ma una scelta profonda, culturale, valoriale.
Abbiamo sottolineato, in quell’occasione, come le funzioni principali dello Stato, quelle che toccano i cittadini nei loro diritti fondamentali e inviolabili, rischiassero di non essere più garantite senza una riforma profonda del sistema politico e soprattutto delle sue priorità di intervento: cura, sapere, sicurezza, sanità, scuola, ordine pubblico.
Il problema ora non è rivendicare di avere visto prima di altri ciò che era all’orizzonte, aver fissato un’agenda per il Paese quando era un’opportunità e non un’emergenza, ma radicare con impegno e convinzione un progetto che oggi più che mai è la risposta ai bisogni indifferibili della nostra società.
Nel manifesto dei valori fondativo del nostro Partito abbiamo fatto riferimento alle culture politiche da cui trarre la nostra ispirazione: il liberalismo solidale di Einaudi e quello sociale del Partito d’Azione come riferimento alla capacità di tenere in equilibrio espansione di lavoro e diritti civili, e il popolarismo di Sturzo nel suo ribadire la centralità della persona anche nel suo essere sovraordinata allo Stato (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili […]” art.2 della Cost.). In molte occasioni la politica italiana dovrebbe semplicemente prendere a riferimento ciò che ha ispirato e tiene in equilibrio la nostra Costituzione, i suoi valori fondamentali, invece che farsi travolgere da un presentismo che rasenta l’improvvisazione.
Solo dimenticando i valori fondativi della Costituzione è stato possibile, proprio nella legislatura in corso, ledere i princìpi che fanno della nostra Repubblica uno Stato liberale e garantista: il primato dell’assistenza sul lavoro va in questa direzione (oltre che produrre profonde ingiustizie tra chi sceglie il lavoro e si trova a doverlo fare a condizioni economiche insostenibili), l’approccio statalista in tutti i settori economici (lo Stato in Alitalia, nell’Ilva, nelle autostrade, nelle banche), le modifiche sullo svolgimento del processo penale e della prescrizione – per fortuna in gran parte smontate dal governo Draghi con il contributo decisivo di Azione – che stravolgevano il principio di presunzione di innocenza e funzionamento della giustizia a garanzia dei cittadini. Sono solo alcuni degli esempi più eclatanti che dovrebbero portare le forze politiche che si riconoscono nell’impianto costituzionale a reagire a questo “smantellamento” del nostro ordinamento piuttosto che cedere in ordine alla convenienza di condividere spazi di Governo che si rivelano dannosi per il Paese.
Dobbiamo riuscire a far comprendere che la questione che abbiamo davanti non è riassumibile in un “né con i populisti, né con i sovranisti” in ordine ad una collocazione o ad una volontà di alleanza o coalizione, ma ad una vera e propria emergenza politica, culturale, democratica. Un’emergenza che rischia appunto di portare lo Stato e le nostre istituzioni fuori da una collocazione europeista, fuori da una concezione liberale e sociale dell’economia, fuori da una concezione garantista della giustizia e fuori da una concezione democratica della politica.
Questa emergenza non può essere colta solo dalla politica o dai partiti: questo rischio ha oramai pienamente intaccato il sistema dell’informazione, che non può rimanere a guardare di fronte a tutto questo, il sistema della rappresentanza a partire da quella sindacale, la magistratura che vive oggi una delle crisi più profonde e sistemiche di sempre.
Se il quadro è questo, la proposta che dobbiamo fare a noi stessi e al Paese non è certamente quella di una forza moderata o per usare una terminologia della politica “centrista”. Serve radicalità e coraggio, serve sfidare il presente in campo aperto e senza paracadute, serve agire rompendo equilibri che troppo spesso sono creati su incrostazioni e superfetazioni, serve un cambiamento che esce dai titoli dei webinar ed entra nelle azioni e nella concretezza dei nostri gesti.
La quotidianità di questi due anni di lavoro, duro e incessante, è stata scandita proprio da questa odiosa contraddizione: in affollata compagnia nel denunciare i problemi, nel più solitario isolamento a batterci per le soluzioni. Perché per Azione la politica è amministrazione, concretezza, buongoverno. Altrimenti è solo populismo e chiacchiere inutili.
Tutte le forze politiche presenti a unirsi alla protesta degli specializzandi in medicina, noi gli unici a presentare emendamenti per superare l’imbuto formativo. Tutte le forze politiche a denunciare una condizione giovanile inaccettabile, precaria, ingiusta. Noi gli unici a presentare emendamenti per detassare il lavoro giovanile (oggi un under 25 guadagna meno della metà dello stipendio medio nazionale) e tutti gli altri a bocciare i nostri emendamenti. Poi 3 giorni dopo, tutti a ringraziare il Presidente Mattarella per le parole rivolte a giovani. Una costante, incessante, fastidiosa ipocrisia che pensa di potersi permettere qualunque cosa perché “tanto chi ci deve votare, ci vota a prescindere”.
È presto spiegata la crescita abnorme dell’astensionismo in un Paese che ha sempre avuto un’affluenza al voto tra le più importanti in Europa.
La nascita di Azione non risponde ad una contingenza del momento. Stiamo costruendo un partito che si caricherà della responsabilità di restituire serietà e credibilità alla politica, riaffermare i princìpi costituzionali e le idee di Stato, persona e impresa in essa contenute. Costruiremo un partito con i piedi saldi nel presente, sui territori, radicato e di prossimità; la testa rivolta al futuro, all’imperativo di costruire una classe dirigente all’altezza di un grande Paese come l’Italia.
Con questo congresso si apre una fase di solida costruzione del partito con un atteggiamento aperto e inclusivo. Nessuna arroganza, nessun veto, nessun pregiudizio. Ma a condizioni chiare. All’Italia non serve un’intesa tra sigle o ceto politico, serve la capacità di unire passioni, talenti, generosità e disponibilità a prendere per mano un progetto ambizioso che dovrà trovare interpreti nuovi e credibili. In questi mesi si sono uniti al nostro cammino giovani preparati, personalità della società e dei mondi professionali, amministratori locali con competenze di governo e conoscenza dei territori. L’Italia ha le risorse per ridare ossigeno all’impegno politico e civico, chi sta in ruoli di guida a livello nazionale non può rappresentare un ostacolo a queste espressioni. E’ l’impegno che ci prendiamo come gruppo dirigente fondativo del nostro partito, è l’atteggiamento che avremo nella costruzione di Azione.
La sfida che abbiamo condotto insieme sulla città di Roma dimostra che tutto questo è possibile. La battaglia che abbiamo combattuto per il Campidoglio non è derubricabile a fatto locale o amministrativo, ma ha dimostrato che un lavoro serio e approfondito, il coinvolgimento delle migliori espressioni della società, un atteggiamento inclusivo e aperto, un linguaggio di verità e intransigenza (soprattutto verso noi stessi) possono raccogliere consensi tali da arrivare ad essere la prima lista per consensi in assoluto.
Esiste uno spazio nel Paese, al quale guardano le persone che chiedono alla politica serietà e integrità, l’onestà di dire ciò che si pensa e proporre ciò che realmente è realizzabile, senza inseguire consensi fondati su promesse irrealizzabili fino ad essere prese in giro. Una politica che alla convenienza anteponga la convinzione, la coerenza, la trasparenza. E che soprattutto sappia mettere al centro del proprio impegno la capacità di amministrare bene la cosa pubblica.
La questione non è solo il coraggio di fare proposte, anche impopolari, ma invertire la pericolosa tendenza culturale che populismo e sovranismo hanno instillato nella società: la negazione dei doveri associati ai diritti, il richiamo dal quale Aldo Moro ci mise in guardia oltre 40 anni fa. Allo Stato si chiede tutto, dallo Stato si pretende tutto, salvo mettere in discussione tutto ciò che va restituito, a partire dalle imposte più elementari e dal principio sacrosanto di progressività. Si pretende il massimo intervento dello Stato a fronte della massima libertà individuale. L’autorità deve “esaudire” ogni bisogno o desiderio e lasciarmi libero di gridare alla dittatura per qualunque imposizione. Un cortocircuito non solo culturale, ma di pacifica convivenza, di condivisione del patto che sta alla base della cittadinanza.
I partiti in maniera clamorosamente inadeguata non riescono a mettere a fuoco l’urgenza di questo intervento, vivono di linguaggi chiusi, scadenze che parlano alla politica, autoreferenzialità e liturgie che mettono in garanzia percorsi personali prima della tenuta del Paese. Linguaggio e parole rivelano tutta la profondità del fossato che si è creato tra le inquietudini delle persone e le azioni della politica: “il campo largo” che vorrebbe tenere insieme una cosa e il suo esatto contrario, “il nuovo centro” come se ai deliri sovranisti e populisti si potesse reagire con qualche formula geometrica del secolo scorso. Se non rompiamo questa retorica, ne rimarremo vittime. Perché la prima domanda che ci viene fatta non è cosa proponiamo ma dove ci collochiamo. E noi continueremo testardamente, come abbiamo fatto in questi due anni a fare proposte su lavoro, infanzia, donne, ambiente, digitale, giustizia, pubblica amministrazione e tutto ciò che è stato oggetto del lavoro straordinario condotto nella preparazione delle proposte legate al Next Generation EU.
Perché se la serietà in molti ambiti della nostra vita è assunta come caratteristica intrinseca:nel lavoro, nei sentimenti, nelle relazioni, in politica rappresenta la vera rivoluzione di cui abbiamo bisogno.
Con la costituzione formale del Partito, dei suoi organismi, dei suoi livelli territoriali, la qualità della nostra proposta beneficerà di processi di partecipazione rafforzati, di un protagonismo delle realtà locali e delle aree tematiche. Abbiamo la consapevolezza che serve un partito forte e plurale, che da oggi ai prossimi anni diventi il perno di una proposta politica europeista, riformatrice, in grado di riunire e interpretare le più importanti culture politiche europee, quella liberale, quella popolare e quella socialdemocratica.
La crescita del partito, dei suoi eletti e della rappresentanza nelle istituzioni, sarà decisiva per fare di Azione il partito che restituisce centralità alla democrazia, alla Repubblica, al Parlamento.
Non possiamo permetterci di continuare ad avere sistemi elettorali che scimmiottano logiche maggioritarie per poi avere legislature nelle quali tutti governano con tutti. Si finge di giocare in campagna elettorale ad un sistema bipolare, poi in Parlamento, per necessità, si formano governi con chi si era reciprocamente promesso “mai un governo insieme a loro” e la stessa persona passa da “burattino” a “riferimento della sinistra” nel giro di poche settimane.
Ho detto più volte che il mio sistema preferito per arrivare a una ricomposizione del quadro politico è quello del maggioritario a doppio turno. Ma vista la contrarietà di tutti i partiti e il contesto politico, l’unica soluzione realistica per dare coerenza e credibilità ai partiti è una legge che, sul modello del sistema tedesco, prima sottoponga agli elettori le differenti proposte, poi sulla base di programmi di governo ai quali attenersi costruisca in Parlamento alleanze che danno vita a governi stabili e trasparenti.
La stagione che abbiamo davanti a noi sarà necessariamente una stagione di cambiamenti e trasformazioni. La terribile pandemia che stiamo attraversando da anni ci ha restituito tutta la nostra fragilità e tutto il bisogno di rimettere al centro, come destinatario ultimo del nostro impegno, la persona. E questo va fatto con una nuova consapevolezza del concetto di sicurezza. La sicurezza sociale, quella ambientale, quella economica ed ogni forma di sicurezza necessaria a rafforzare la dignità della persona.
La ricostruzione post pandemia sarà anche un’opportunità unica: quella di ripensarci non solo in maniera più moderna, più innovativa, più sostenibile; ma anche e soprattutto in maniera più giusta. Il contrasto al COVID ci ha insegnato che il nemico che ogni giorno insidia la nostra convivenza è sempre lo stesso: ingiustizie e disuguaglianze. Ma per cogliere questa opportunità servono serietà e capacità amministrativa. Se la politica non sarà capace di un cambio di passo, l’opportunità rappresentata dai fondi del PNRR rischia di avere l’effetto contrario, aumentando le distanze tra Italia ed Europa e tra le diverse parti del paese. Azione dovrà vigilare e combattere perché ciò non avvenga.
Un grande partito serve a questo, a non lasciare nessuno da solo, ad attraversare le intemperie e a non privarsi di nessuna intelligenza nella necessaria costruzione di un tempo nuovo.
Un tempo nuovo che veda tutti noi, insieme, in Azione.
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