Stop alle inchieste con titoli da film
Costa: "I nomi dovranno rispettare la presunzione di innocenza, senza evocare una condanna certa".
Un tempo era il grande cinema a farsi tribunale: "Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto". Ora è la giustizia a farsi film.
Questo il pensiero di Enrico Costa: "Molte inchieste – argomenta – vengono rappresentate come fossero dei film. C’è un titolo, un trailer, una conferenza stampa nella quale proiettano gli arresti, le intercettazioni anche vocali. Poi ci sono i protagonisti, ovvero i pubblici ministeri, che rilasciano interviste. Infine, c’è il botteghino di questo capolavoro che è la Rete. Eppure in questo film parla solo una campana, quella dell’accusa, la difesa non viene citata nemmeno nei titoli di coda. Le sentenze, specie di assoluzione, non interessano più nessuno".
Costa, vuole silenziare i pm?
"Buona parte dei pm lavora silenziosamente, e soffre la spettacolarizzazione che fanno pochi e rumorosi colleghi".
Perché ha presentato una proposta, accolta dal governo, che elimina i titoli lesivi delle inchieste?
"Si tratta di una norma di civiltà. I nomi delle inchieste e le conferenze stampa sono un marchio indelebile sull’indagato e restano impresse anche sull’innocente in caso di assoluzione".
Non vedremo più indagini che si chiameranno “Mafia Capitale”, “Evasione continua”, “Pelli sporche”?
"I nomi dovranno rispettare la presunzione di innocenza. Non dovranno evocare una condanna certa. L’esecutivo ha recepito la direttiva europea in linea con un mio emendamento".
Chi sono gli autori dei nomi delle inchieste? I pm?
"Nessuna norma prevede di assegnare un nome, che è sempre colpevolista, alle indagini. Molto spesso nascono dalla polizia giudiziaria e i pm non si oppongono".
Non teme che il decreto possa subire modifiche nelle commissioni parlamentari?
"L’impianto è chiaro ma potrà essere affinato".
Giuseppe Conte fa sapere che "se il M5S avrà i voti cambierà la riforma Cartabia".
"Queste parole qualificano una linea del tutto illiberale".
L'intervista di Enrico Costa al Corriere della Sera.