Ucraina: è poco probabile un’invasione russa
Camporini: "L'occidente si è svegliato, ma comprendo la diffidenza di Biden verso l'UE".
"Dal punto di vista tecnico, abbiamo tutte le evidenze del fatto che Putin è pronto a lanciare un’operazione militare nei confronti dell’Ucraina. Dal punto di vista politico, il discorso è molto più complesso e articolato, ma la decisione di ammassare tutte quelle forze militari alla frontiera con l’Ucraina indica la minaccia precisa di un’invasione". Così il generale Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore della Difesa, commenta con HuffPost la situazione al confine tra Russia e Ucraina, dove aumentano i timori di un conflitto armato.
Generale, ci spiega, dal punto di vista militare, di cosa stiamo parlando?
"Parliamo di 150-170mila unità di truppa con centinaia di mezzi corazzati. In più abbiamo l’annuncio di ulteriori esercitazioni congiunte tra Bielorussia e Russia, il che significa che oltre al confine orientale dell’Ucraina anche da nord si possono profilare delle minacce".
Come stanno rispondendo Usa e Ue a questa minaccia?
"Il mondo occidentale sta finalmente mostrando una qualche reazione. Inizialmente sono stati solo gli Stati Uniti a dialogare con la Russia sul tema, escludendo l’Europa che essendo il luogo dove si svolgono gli eventi dovrebbe avere qualche voce in capitolo. Con l’incontro telematico di ieri sera tra Biden e i capi dei più importanti paesi europei si è avviata una procedura di consultazione che credo sia importantissima".
Perché ci è voluto tutto questo tempo prima di trovare – forse - una quadra?
"Indubbiamente sarebbe stato meglio arrivarci prima. Mettendomi nei panni di Biden, però, di fronte alla diversità di voci che escono dalle capitali europee, qualche remora nel chiacchierare con loro ce l’avrei anch’io...".
Immagino stia pensando soprattutto alla Germania…
"Alla Germania ma anche alla Francia. Lo stesso Macron ha fatto delle dichiarazioni non perfettamente in linea con una chiara resistenza nei confronti delle pretese russe. La Germania ha qualche problemino di politica interna: non mi sembra di avvertire una omogeneità di visione tra ministri diversi della stessa compagine governativa. La posizione tedesca è compromessa da quella brutta vicenda nata diversi anni fa, quando un cancelliere uscente - Gerhard Schröder – il giorno dopo divenne capo degli azionisti del gasdotto che oggi chiamiamo Nord Stream 2. Tornando ai giorni nostri, fa riflettere l’episodio che ha visto velivoli britannici carichi di armi anticarro destinate agli ucraini dover fare un lungo giro per evitare di sorvolare il territorio tedesco. Non è chiaro se gli inglesi abbiano chiesto l’autorizzazione diplomatica al sorvolo del territorio tedesco ricevendo un rifiuto, oppure se non l’abbiano chiesta per non farsela negare e quindi per non creare un incidente diplomatico. È chiaro però che la posizione tedesca ha sfumature significative rispetto alle posizioni britanniche o olandesi. La situazione è molto molto complicata".
C’è una zona grigia di azioni militari intermedie che dobbiamo aspettarci da Putin?
"Non credo che Putin alla fine si lancerà in un’avventura militare. Molti distinguono tra ‘piena invasione’ e ‘incursioni’, ma per me si tratta di distinzioni di lana caprina. Un’aggressione è un’aggressione, a prescindere dalle modalità con cui si verifica. Lo stesso Biden la settimana scorsa ha dovuto ritrattare alcune sue dichiarazioni, mettendo in chiaro che qualsiasi azione militare ostile avrà una reazione altrettanto dura".
Quali potrebbero essere queste reazioni?
"Mi soffermerei su una in particolare, che non riguarda l’Unione europea o la Nato, ma l’atteggiamento che potrebbero assumere paesi che si sentono in qualche modo in una posizione analoga all’Ucraina. Sto parlando della Finlandia, dove da qualche tempo si stanno facendo più forti le voci circa una volontà di adesione all’Alleanza Atlantica. È chiaro che se la Russia dovesse invadere o comunque fare delle operazioni aggressive nei confronti dell’Ucraina, in Finlandia sarebbero in molti a chiedere di aderire alla Nato per godere della protezione che l’Alleanza assicura ai suoi membri. In questo senso Putin potrebbe creare delle situazioni che sono esattamente l’opposto del suo scopo politico. Anche per questo penso che non invaderà, ma che continuerà a usare questa massiccia presenza militare come mezzo di pressione nei confronti del governo ucraino per strappare qualche concessione a favore dei separatisti del Donbass. Non dimentichiamoci che l’unico pezzo di carta scritta che abbiamo a riguardo sono i cosiddetti accordi di Minsk, rimasti nel grembo del possibile e dell’intenzione perché mai realizzati. Lo scopo di Mosca potrebbe essere quello di spingere il governo di Kiev ad accelerare verso la concessione di una maggiore autonomia locale".
Il dispiegamento di tutte queste forze armate è anche un modo per rivendicare una centralità geostrategica, giusto?
"Questa è la base di tutto l’atteggiamento internazionale di Putin, a partire dalla Siria per continuare in Libia e adesso nel Sud Sahara. Mosca vuole riaffermarsi come potenza con cui bisogna fare i conti. Nella realtà, però, la Russia non se la passa molto bene: è messa male dal punto di vista economico, malissimo da quello demografico. Le ambizioni di Putin si scontrano con alcune crude realtà dei numeri".
Gli Stati Uniti hanno messo in stato d'allerta 8.500 militari in vista di un possibile dispiegamento in Europa orientale. Come commenta?
"Leggo le reazioni russe a questa notizia: reazioni particolarmente stizzite. E mi permetto di fare il paragone con la favola di Esopo Superior stabat lupus: chi schiera 170mila uomini non può gridare all’allarme perché qualcuno ne mobilita 8.500".
Stati Uniti e Gran Bretagna hanno ordinato il ritiro di parte del personale delle loro ambasciate e dei familiari al seguito; gli europei per ora non sono arrivati a tanto. Come mai reazioni così diverse?
"Bisogna distinguere molto bene tra l’evacuazione dei familiari e l’evacuazione delle ambasciate: sono due cose molto diverse. Finora gli americani e i britannici hanno parlato soprattutto dei familiari, una precauzione da buon padre di famiglia che farebbe chiunque".
Ma non - per ora - l’Unione europea. È un altro segno di un disallineamento? Non si corre il rischio di indebolire la posizione della Nato, anche nella sua capacità di deterrenza?
"Esistono sfumature diverse. Dobbiamo considerare che la Nato è un’alleanza di paesi sovrani che prende le sue decisioni sulla base del consenso. Ora, il consenso non è qualcosa di meccanico o automatico, ma è qualcosa che bisogna costruire, per cui è normale che in una situazione di crisi ci sia un dibattito interno proprio per raggiungere questa forma di condivisione. Che ci siano posizioni diverse – più o meno prudenti, più o meno aggressive – è un dato di fatto, ma è stato sempre così. Anche durante il periodo delle guerre nei Balcani occidentali ci furono discussioni particolarmente accese per trovare un punto d’incontro. La cosa non mi stupisce più di tanto".
In queste ore, mentre l’Italia è assorbita dalle elezioni per il presidente della Repubblica, a guidare l’iniziativa europea sembra essere il presidente francese Macron. Questa sera vedrà il cancelliere Scholz; in settimana è atteso un colloquio con Putin. Dobbiamo affidarci a lui?
"È chiaro che oggi in Europa abbiamo un problema di leadership. Abbiamo un paese come la Germania con un governo in cui far coincidere le posizioni di verdi, liberali e socialisti è una operazione quasi di alta acrobazia. Abbiamo un paese come la Francia che tra pochi mesi sceglierà il nuovo presidente della Repubblica. Macron, spinto da interessi nazionali, è determinato a mostrare la sua fibra di statista globale. Poi abbiamo la situazione italiana, con una classe politica molto preoccupata per quello che accade all’interno delle Mura Aureliane, ma che al di fuori di quello non vede un granché. Come leadership all’interno dell’Europa ne abbiamo pochina. Trovare poi un punto d’incontro per favorire quelli che sono gli interessi comuni è un’operazione complessa che richiede tempo".
Torniamo sull’Italia. La crisi ucraina ha riacceso l’attenzione sulla necessità di un profilo "chiaramente atlantista" per il Quirinale. Dal punto di vista strategico, qual è il suo auspicio?
"È necessario prendere una decisione in fretta. Abbiamo dei nomi di altissimo prestigio e grandissima capacità di mediazione. Personalmente, ritengo che Mario Draghi stia bene dove sta adesso. Qualcuno si preoccupa del suo futuro ulteriore, ma dimentica che esistono tante opportunità per un grande uomo come lui, dalla Nato all’Unione europea. Non dobbiamo preoccuparci che rimanga disoccupato una volta lasciato Palazzo Chigi, sperabilmente il più tardi possibile. Non ho dubbi sul fatto che sia meglio continuare ad averlo a capo del governo – e in futuro magari ai vertici di Nato o Ue – anziché averlo per sette anni al Quirinale".